La Stampa, 25 gennaio 2025
Caccia al Leone
Ai piani alti della torre Generali di Milano, gioiello architettonico di Zaha Hadid, ieri c’era un certo nervosismo. La sorpresa dell’annuncio notturno dell’offerta di Mps su Mediobanca ha lasciato spazio, fin dal primo mattino, alle molte domande sul perché piazzetta Cuccia, che pure almeno da un paio di mesi – per non dire anni – doveva essere cosciente del fatto che l’attacco all’assetto attuale del Leone poteva arrivare solo da un’opa sulla stessa Mediobanca, abbia fatto nulla per preparare una difesa. Perché è ovvio che il terremoto innescato dalla mossa di Luigi Lovaglio fa ballare il Leone almeno tanto quanto piazzetta Cuccia. Nel bel mezzo di una operazione storica come la fusione tra gli asset di Generali Investments e quelli di Natixis, con il cda da rinnovare nel maggio prossimo e, ultimo ma non ultimo, con un piano industriale in fase di scrittura che sarà presentato giovedì prossimo.Il tempo dirà se la preda vera era proprio il Leone – un safari miliardario – o semplicemente i personalismi tra imprenditori e manager mai entrati in sintonia. Per il momento, l’effetto vero è un riassetto complessivo del sistema finanziario italiano arrivato a quello che fino a ieri era ritenuto una sorta di santuario laico e inviolabile, Mediobanca appunto. Gli intrecci tra le partecipazioni tra Generali, Mediobanca, Mps hanno in comune Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin guidata da Francesco Milleri, che da tempo si sono ripromessi proprio di cambiare questi equilibri. In più, in Mps c’è ancora il Mef, cioè lo stato italiano, entrato per salvare la banca e diventato regista del riassetto.L’operazione tra Generali e Natixis, secondo quanto ricostruito, ha accelerato la decisione dell’ad Luigi Lovaglio, che aveva in mente da due anni una fusione con Mediobanca come una delle possibili opzioni strategiche per il Monte risanato e che di questo aveva parlato con Giorgetti già nel dicembre del 2022. Operazione che però, senza la presenza di Delfin e Caltagirone tra i soci del Monte e di un governo favorevole non sarebbe stata possibile.Sugli esiti della battaglia la scommessa è aperta. Iniziamo col fare un po’ di conti: Caltagirone e Delfin sono accreditati di una quota vicina al 30% di Mediobanca. A questo non è peregrino sommare la quota di Poste, che aveva il 3%, e l’1% di Enpam. Al momento non risultano acquisti già effettutati da Mps e le voci che da giorni circolano sul mercato in questo senso non hanno trovato conferme. Non si conosce però la composizione dell’azionariato al di sotto del 3%, che potrebbe “nascondere” altri soci favorevoli all’offerta di Mps. Se questo schieramento dovesse raggiungere il 40%, avrebbe in mano l’assemblea di Mediobanca alla quale storicamente partecipa il 70% del capitale.Non si può però guardare solo all’asse Mediobanca-Generali. Il nuovo fronte arriva in un contesto già estremamente complicato. Nel grafico a fianco sono riprodotte le parte incrociate in corso nella finanza italiana. La più sensibile al tema Mediobanca-Generali è quella che vede Unicredit impegnata per acquisire Banco Bpm. In comune ci sono alcune partecipazioni incrociate (Caltagirone nel Banco e il Banco in Mps) mentre di radicalmente diverso c’è l’atteggiamento del governo, fortemente contrario all’offerta di Orcel. È possibile che un successo di Mps su piazzetta Cuccia lasci via libera a Unicredit sul Banco, anche se ieri autorevoli esponenti della finanza italiana si dicevano certi del contrario. Di certo ci sono ancora una volta i personalismi. La mossa di Orcel su Banco Bpm non è piaciuta all’esecutivo, che aveva altri piani per la banca milanese. Singolarmente, i governi italiano e tedesco, distantissimi su quasi tutto, si trovati in sintonia nel dire “no” a Unicredit, come ha raccontato nei giorni scorsi questo giornale