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 2025  gennaio 24 Venerdì calendario

L’importanza del rapporto sugli abusi sessuali nella diocesi di Bolzano-Bressanone

Il rapporto sugli abusi sessuali su minori e persone vulnerabili commessi da sacerdoti della diocesi di Bolzano-Bressanone, pubblicato lunedì, è l’indagine indipendente più approfondita promossa finora dalla Chiesa cattolica italiana. Il corposo dossier di 631 pagine è infatti il risultato del lavoro di uno studio legale tedesco che aveva ricevuto l’incarico dalla diocesi stessa. Rispetto al criticato rapporto dell’assemblea dei vescovi italiani, la CEI, presentato in due parti nel 2022 e nel 2023, quello sulla diocesi di Bolzano copre un periodo di tempo molto più ampio – 60 anni – e tratta il problema degli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica in modo dettagliato, parlando tra le altre cose della dimensione sistemica delle violenze.
Non è un caso che la diocesi di Bolzano-Bressanone sia la prima in Italia a commissionare un’indagine di questo tipo. Da tempo è infatti assai più attiva sul tema degli abusi rispetto ad altre diocesi italiane.
Nel 2010 è stata la prima, per esempio, ad aprire un centro d’ascolto per gestire le segnalazioni su abusi sessuali commessi dai chierici. Nel podcast del Post «La bomba», i vaticanisti Iacopo Scaramuzzi e Alvise Armellini hanno spiegato che l’atteggiamento più autocritico della diocesi di Bolzano va attribuito soprattutto alla vicinanza culturale con la Germania, dove già quindici anni fa si iniziò a pubblicare in maniera piuttosto sistematica i primi rapporti sugli abusi all’interno della Chiesa. È comunque un lavoro notevole, considerate le enormi resistenze che ci sono sempre state nella Chiesa italiana verso inchieste di questo genere.Il rapporto fa parte di un progetto più ampio della diocesi, intitolato “Il coraggio di guardare”. Lo ha curato lo studio legale Westpfahl Spilker Wastl di Monaco di Baviera, in Germania, che dal 2010 in poi si è occupato di altre indagini su casi di abusi sessuali nella Chiesa in Germania, Spagna e Portogallo. Mentre le prime due parti del rapporto della CEI “Proteggere, prevenire, formare” considerano solo alcuni casi segnalati alla Chiesa stessa tra il 2020 e il 2022, questo dossier ricostruisce i casi dal 1964, anno in cui la diocesi di Bolzano-Bressanone ha assunto il suo assetto attuale, fino alla fine del 2023, quando lo studio legale ha ricevuto l’incarico.
In 60 anni i legali hanno rilevato 67 presunte situazioni di abuso. Le presunte vittime sono state 75, di cui 51 femmine, 18 maschi e 6 di cui non si conosce il sesso. Quasi tutti erano minorenni: il 51 per cento delle femmine aveva tra gli 8 e i 14 anni, mentre la metà dei maschi aveva 17 anni. Secondo quanto ricostruito nel rapporto, tre uomini si sono suicidati decenni dopo aver subìto violenza. Gli autori hanno osservato che le loro scoperte hanno probabilmente portato alla luce solo alcuni casi, e ritengono che ci sia un numero «ampiamente maggiore, forse addirittura esorbitante» di casi sommersi.
Né il vescovo di Bolzano Ivo Muser né il vicario generale Eugen Runggaldier erano a conoscenza del contenuto del rapporto fino a lunedì. Hanno appreso i risultati dell’indagine per la prima volta alla conferenza stampa che si è tenuta nella diocesi. Gli stessi autori del dossier hanno confermato lunedì di non aver condiviso le informazioni raccolte. Muser e Runggaldier commenteranno il lavoro venerdì 24 gennaio durante un’altra conferenza stampa.
Per ricostruire questi casi gli autori hanno esaminato oltre mille fascicoli personali conservati nei vari archivi diocesani, tra i quali quelli della curia vescovile di Bolzano, dell’antico palazzo vescovile di Bressanone e dell’ufficio del vicario generale. Tra i documenti conservati ci sono articoli di giornale e segnalazioni inviate alla diocesi sui singoli sacerdoti accusati di avere commesso abusi, o sui quali c’erano comunque forti sospetti. Durante la conferenza stampa di lunedì, gli autori hanno detto di aver potuto consultare tutto il materiale disponibile, compresi i fascicoli del centro di ascolto. Per completare la ricostruzione hanno inoltre intervistato 25 testimoni, cioè persone all’interno della diocesi che potenzialmente potevano essere a conoscenza dei fatti, e diverse persone che hanno raccontato le loro storie di abusi dopo aver risposto all’appello pubblico fatto dallo studio legale lo scorso febbraio.
Il metodo dell’indagine è ampiamente illustrato all’interno del rapporto, che in generale è assai più ricco di informazioni rispetto a quello della CEI. La prima parte del report “Proteggere, prevenire, formare”, di 40 pagine, si limitava infatti a spiegare come sono costituiti i Servizi territoriali e i Centri di ascolto per la tutela dei minori attivati nelle diocesi, quali sono le attività svolte e quali sono i punti di forza e quelli da consolidare. La questione degli abusi era affrontata solo in un breve passaggio. Anche la seconda parte del report della CEI, pubblicata un anno dopo, era risultata ancora piuttosto carente soprattutto a causa del numero basso di persone che si erano rivolte alla Chiesa per denunciare abusi.
Nel dossier su Bolzano-Bressanone, invece, viene dedicato molto spazio alla descrizione dei casi, scelti con criteri specifici (ci arriviamo) e anticipati da altre sezioni che aiutano a comprendere meglio il contesto in cui si sono svolti i fatti. Ci sono per esempio molte pagine di approfondimento sul contesto sociale e culturale dell’Alto Adige e sullo sviluppo nel tempo di una maggiore consapevolezza sugli abusi sessuali, dentro e fuori la Chiesa. C’è anche, tra le altre cose, una panoramica delle indagini svolte in Francia, Germania, Irlanda, Australia, Portogallo e Spagna per dare termini di paragone.
Uno degli aspetti più interessanti e significativi del rapporto riguarda il criterio con cui i relatori hanno selezionato i 24 casi da descrivere diffusamente fra gli oltre 60 individuati. Sono stati scelti casi «che evidenzino errori o omissioni commessi dai dirigenti responsabili della diocesi di Bolzano-Bressanone e ne comprovino la responsabilità di una gestione manchevole dei casi di abuso e presunto abuso», si legge nel rapporto. Questo perché i sacerdoti che avevano commesso abusi, o erano sospettati di averlo fatto, sono stati trattati dalla Chiesa troppo a lungo come eccezioni, del tutto svincolate dalle carenze sistemiche che secondo il rapporto sono ben evidenti all’interno del mondo ecclesiastico.
I relatori ne analizzano diverse, che riguardano sia la Chiesa in generale che la diocesi di Bolzano-Bressanone più nello specifico. Vanno dall’immaturità sessuale dei sacerdoti ai tabù sulla sessualità tipici dell’etica ecclesiastica, fino al timore dello scandalo e al rifiuto di riconoscere le sofferenze inflitte alle persone abusate.
Nel dossier si insiste in particolare sulla mancanza di una «cultura dell’errore» all’interno della diocesi: sta a indicare il prolungato rifiuto di molti responsabili ecclesiastici di affrontare in modo adeguato i sacerdoti accusati di avere commesso abusi, per non dover ammettere di aver sbagliato a gestire casi simili in passato e per evitare di dover correggere le decisioni dei propri predecessori. È una delle ragioni principali per cui, secondo il rapporto, molti sacerdoti abusanti o su cui c’erano molti indizi sono restati in servizio per decenni, venendo al massimo trasferiti in altre parrocchie. Diversi responsabili ecclesiastici, si legge nel dossier, si sentivano «molto più strettamente legati agli autori degli abusi, ma anche all’istituzione stessa e ai loro rispettivi interessi, che ai soggetti abusati e alle sofferenze loro inflitte dai rappresentanti della chiesa».
Proprio per mettere in risalto il carattere sistemico degli abusi, il rapporto non cita i nomi dei preti abusanti ma solo quelli dei vescovi e dei vicari generali che ne sono diventati complici evitando di trattarli nel modo in cui avrebbero dovuto farlo, o addirittura coprendoli.
Il rapporto, che analizza anche le misure di prevenzione dei casi di abuso promosse negli ultimi anni dalla diocesi di Bolzano-Bressanone, si conclude con una serie di raccomandazioni per gestire meglio in futuro, e in modo più trasparente, questi casi, dando priorità alla tutela delle persone abusate. Il segretario generale della CEI, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, ha detto che il rapporto è «un’esperienza che guardiamo positivamente e che studieremo».