Avvenire, 24 gennaio 2025
Mandare i soldi a casa costa ancora troppo: 18 dollari per spedirne 200 in Bangladesh
Chi decide di partire e si spinge oltre confine spesso ha un’idea ben precisa in mente, un proposito condiviso con gli altri milioni di migranti del pianeta: trovare lavoro all’estero e mandare i soldi a casa. Fonte cruciale di finanziamenti per lo sviluppo della propria comunità, questo movimento di denaro tra persone fisiche ha assunto negli ultimi anni dimensioni enormi: nel 2023, secondo la Banca Mondiale, le rimesse ufficialmente registrate verso Paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto i 656 miliardi di dollari, cifra pari al Pil del Belgio e che supera anche investimenti diretti esteri e aiuto pubblico allo sviluppo Quanto costa, però, inviare i propri guadagni a casa? Bangladesh, Pakistan, Filippine e Marocco sono le quattro destinazioni di più frequente invio di rimesse spedite dall’Italia, da cui, secondo i dati di Banca d’Italia, complessivamente nei primi tre trimestri del 2024 sono partiti 6,2 miliardi di euro in rimesse. Un lavoratore bengalese che abbia trasferito da qui 200 dollari (cifra non scelta a caso, ma utilizzata dalla Banca Mondiale per monitoraggio e simulazioni) ha pagato in media quasi 18 dollari, tra commissioni e margine del tasso di cambio. La cifra risale alle ultime rilevazioni disponibili della fine della scorsa estate. Dall’Italia alle Filippine, i costi di spedizione nello stesso periodo si fermavano ad 8 dollari per la medesima somma. Dall’Italia al Marocco, superavano invece i 15 dollari. Si tratta di medie perché i costi effettivi variano – e di molto, da qualche centesimo di dollaro a qualche decina – a seconda che l’invio di denaro si esegua online, attraverso agenzie di money transfer, in istituti bancari o alla posta. A monitorare gli esborsi sostenuti da chi spedisce i propri guadagni lungo i principali corridoi di rimessa del pianeta è, dal 2008, la piattaforma Remittance Prices Worldwide (Rpw) della Banca Mondiale. Secondo il suo ultimo rapporto del giugno 2024, nel secondo trimestre dello scorso anno il costo medio globale per l’invio di 200 dollari di rimesse è stato pari al 6,65%, dell’importo inviato. Cioè il doppio rispetto alla percentuale del 3% fissata tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, da raggiungere entro il 2030.
In oltre sessanta Paesi le rimesse rappresentano almeno il 3% del Prodotto Interno Lordo (Pil). Si intuisce dunque in che misura gli Stati più fragili dipendano da questoflusso di denaro. Diminuire le commissioni significherebbe liberare risorse ingenti verso aree in difficoltà ai quattro angoli del pianeta. Le banche continuano a essere il fornitore di servizi di rimessa più dispendioso in assoluto, con un costo medio di invio di oltre il 13%. Negli uffici postali occorre pagare invece in media il 7,5% di quanto spedito, mentre con gli operatori di money transfer la percentuale è del 5,6%. Spedire denaro online permette di abbattere i costi, e infatti la media globale per le rimesse digitali è al 5,3% contro il 7,2 di quelle tradizionali.
Tra i membri che compongono il G8, dove compaiono molti dei Paesi di più frequente invio, il costo medio per spedire a casa il denaro guadagnato è di 6,2% nel secondo trimestre 2024. In Italia tocca pagare di più, in media circa il 6,9% della cifra che si vuole inviare, percentuale sopra quelle di Stati Uniti (5,8%), Germania (5,9%) e Francia (6,1%). Il Belpaese è anche al secondo posto per il maggiore aumento, dopo il Giappone, tra primo e secondo trimestre 2024.
I costi variano in modo significativo anche a seconda della regione verso cui viene inviato il denaro. È l’Africa subsahariana oggi l’area più dispendiosa, con una percentuale dell’8,4% di quanto spedito. Una volta che il denaro giunge a destinazione, stima il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo dell’Onu (Ifad), per tre quarti viene impiegato per portare cibo in tavola, coprire spese mediche, per l’alloggio, o tasse scolastiche. Il restante 25% finisce nei risparmi o svolge un ruolo prezioso per le comunità locali, reinvestito per produrre altro reddito e posti di lavoro nuovi