Avvenire, 24 gennaio 2025
Torna a vivere l’università di Aleppo
«Questi sono i segni del regalo di addio che ci ha fatto Bashar al Assad». I danni all’ingresso dell’ospedale universitario di Aleppo sono nuovi ed evidenti. Risalgono al 7 dicembre 2024, «il giorno della liberazione della città che ha portato alla liberazione di tutta la Siria» racconta Atef, studente di Medicina al terzo anno. Dopo circa sei settimane da quella data, il cortile del campus universitario, dove è caduto l’ultimo ordigno, è gremito di ragazze e ragazzi iscritti alle varie facoltà, umanistiche e scientifiche, che sono riunite nel cuore della città, considerata la capitale della cultura siriana. Sugli archi sventola la bandiera dell’indipendenza «questa volta per restarci». Da qui sono partite le prime manifestazioni nel 2011 e il desiderio di liberazione «non ci ha mai abbandonato».
Molti degli studenti «che hanno preso parte a quel sogno non ci sono più: uccisi o esiliati», spiega Amira, laureata in Ingegneria biomedica, che torna ad Aleppo per la prima volta dopo tredici anni. Sono in molti, come Amira, a tornare nella sede dell’antica istituzione accademica dopo più di un decennio. Soubhi si presenta in segreteria con la divisa del Syrian Civil Defence, la Protezione Civile siriana conosciuta come i “White Helmets”, i Caschi bianchi. «Ho dovuto abbandonare gli studi di Giurisprudenza perché la mia famiglia è stata costretta a sfollare e ho perso ogni diritto. In questi anni ho imparato a salvare vite umane. Ho toccate la morte con mano. Sono ormai un uomo di trent’anni e la mia giovinezza mi è stata strappata, ma voglio comunque laurearmi», prosegue.
L’Amministrazione transitoria guidata da al-Sharaa ha divulgato una nota in cui comunicava agli studenti a cui sono scadute le iscrizioni perché costretti a sfollare o emigrare che avrebbero potuto riprendere gli studi da dove questi si sono interrotti. La fila in segreteria è lunga. Aya si presenta con il marito e i figli. Studiava Lettere, aveva superato i primi esami, poi è arrivata la guerra e l’esilio, prima in Egitto, poi in Turchia. Al piano di sopra la professoressa Rahaf Alkurdi, direttrice dell’istituto di tecnologie odontoiatriche all’università di Aleppo lavora a pieno ritmo in un giorno in cui si svolgono gli esami della sessione invernale.
«L’università, che in pratica non ha mai chiuso, ha giocato in questi anni e continuaa giocare un ruolo che è imprescindibile nella formazione di una generazione consapevole e illuminata, che possa davvero attivarsi per la costruzione della Siria del futuro», racconta. «Tutti sappiamo che l’università rappresenta la seconda casa per gli studenti e in questi quattordici anni abbiamo affrontato molteplici difficoltà, a livello psicologico, economico e sociale e gli studenti ne hanno risentito molto e hanno richiesto un’attenzione straordinaria». Le donne del mondo accademico – continua –, «come tutte le donne siriane, hanno dimostrato grande resilienza e capacità di empatia e hanno gestito tutte le fasi di crisi con saggezza. Il nostro non è solo un ruolo formativo, ma anche di sostegno. La società siriana è aperta, tutt’altro che integralista e qui nessuno potrebbe mai accettare una discriminazione delle donne in alcun ambito»