Il Messaggero, 24 gennaio 2025
Trump 2 vs Hollywood, primo round agli Oscar
Trump 2 vs Hollywood, primo round agli Oscar. Fin dall’inizio del precedente mandato, il mondo del cinema non ha mai nascosto l’ostilità nei confronti del presidente esprimemdosi attraverso le voci illustri di star come Meryl Streep, Robert DeNiro, Jane Fonda, Richard Gere, George Clooney e tanti altri. Quest’anno si è aggiunto al coro dei “nemici” perfino un insospettabile come Arnold Schwarzenegger, un tempo governatore repubblicano della California. E l’aria che tira a Hollywood nei riguardi del Trump tornato alla Casa Bianca si è vista all’annuncio delle nomination degli Oscar che verranno consegnati il 2 marzo. Quasi una sfida aperta. Per smantellare la cultura woke e le politiche inclusive Lgbt+, il presidente ha deciso che in America d’ora in poi saranno riconosciuti soltanto due sessi? E l’Oscar per la migliore interpretazione femminile rischia di vincerlo la prima attrice transgender della storia: Karla Sofia Gascòn, l’applaudita protagonista del musical Emilia Perez che domina la 97ma edizione del premio con 13 candidature. Ancora. Per rilanciare il cinema «che negli ultimi quattro anni ha perso molti affari a favore dei Paesi stranieri» il presidente nomina come suoi “ambasciatori” a Hollywood tre star cattoliche e conservatrici come Mel Gibson (che non a caso sta preparando il sequel del suo controverso film del 2004 La Passione di Cristo), Sylvester Stallone e John Voight al grido di «saranno i miei inviati, i miei occhi e le mie orecchie per riportare la mecca del cinema all’età dell’oro». L’Academy gli risponde assegnando la nomination come miglior protagonista a Sebastian Stan, l’attore che nel corrosivo The Apprentice interpreta un Donald giovane e spregiudicatissimo mentre Jeremy Strong, che fa il suo avvocato-mentore Roy Cohn, entra in finale tra i non protagonisti. Trump, inutile dirlo, si era scagliato con tutte le forze contro il film che ha dovuto penare per trovare una distribuzione in America. Altra sfida. Mentre il presidente intende bandire per legge l’architettura decostruttiva e brutalista nel nome del ritorno allo stile neoclassico, l’Oscar assegna ben 10 candidature al kolossal di Brady Corbet The Brutalist con Adrien Brody nel ruolo di un architetto ebreo ungherese immigrato in America e specializzato appunto in costruzioni brutaliste. E chissà cosa succederà il 2 marzo durante la “notte delle stelle” visto che i premiati, per tradizione, fanno discorsi politici in mondovisione, in diretta, senza filtri o controlli. Del resto la guerra tra Trump e Hollywood era cominciata ufficialmente con il discorso di Meryl Streep ai Golden Globe 2017: senza mai nominarlo esplicitamente, la grande attrice aveva attaccato il neopresidente che aveva preso in giro un reporter disabile: «Mi ha spezzato il cuore», aveva detto tra gli applausi dei colleghi, «se i potenti usano il loro potere per bullizzare gli altri perdiamo tutti». La reazione di Trump: «È una simpatizzante di Hillary Clinton». Poi, agli Oscar dello stesso anno, vinse Moonlighting di Barry Jenkins, primo film a tematica Lgbt a ottenere il riconoscimento più importante del mondo, nonché il primo interpretato totalmente da un cast di afroamericani. L’anno dopo trionfa all’Oscar La forma dell’acqua, il potente fantasy di Guillermo Del Toro: il film è una metafora dell’accetazione dei diversi e, come se non bastasse, il regista è messicano come gli immigrati che il presidente voleva respingere costruendo un muro tra Messico e Stati Uniti. Oggi molte star abbandonano l’America: Gere è andato a vivere in Spagna, Sharon Stone pensa all’Italia, Ellen DeGeneres ha scelto l’Inghilterra e anche Cher minaccia l’esilio. Il braccio di ferro tra Trump e Hollywood continua.