la Repubblica, 24 gennaio 2025
Il crepuscolo di Felice Maniero
Una delle ultime cose che ci si aspetterebbe da un vero boss è accaduta al pluricondannato, pentito, e poi imprenditore di preclaro insuccesso Felice Maniero: l’ormai settantenne ex protagonista della cosiddetta Mala del Brenta da ieri deve girare per casa con il braccialetto elettronico. E per cosa? Per aver picchiato una donna, la sorella.È la certificazione ufficiale del “viale del tramonto” sul quale s’è incamminato, inesorabilmente, un criminale con la vocazione al narcisismo mediatico. Non è nemmeno la prima volta che Maniero si accanisce contro una parente e che viene snobbato dai gangster.Repubblica può infatti aggiungere alla sua rutilante autobiografia un dettaglio sinora inedito: eravamo nel pieno dell’epidemia Covid e lui, che ancora si spacciava come un boss di spessore, si era ritrovato detenuto in un carcere lombardo. Vantandosi per le paginate di giornale, i siti Internet e anche la fiction (“Faccia d’Angelo” il titolo), aveva provato a mettersi a capo di una seria e fugace rivolta. Se l’era però vista brutta: «Tu sei uno che picchia le donne, qui devi stare muto», gli avevano spiegato.E, nonostante fosse rimasto un uomo dal carattere litigioso, aveva tappato la bocca. Infatti non poteva negare ai compagni di prigionia che la sua ultima condanna non dipendeva da traffici e rapine. Era stata firmata a Brescia dal giudice Roberto Spanò e se l’era buscata per aver maltrattato Marta B., la compagna di una vita. La stessa con cui era stato arrestato, nel ’95, a Capri, mentre sgasava su uno yacht. Per obbligarla a ritirare la denuncia per insulti, minacce evarie umiliazioni, le aveva ricordato di aver avuto “agli ordini 500 uomini”: boom, un’altra delle sue balle colossali.Giovane di bell’aspetto e di umili origini, con un parente ladro di bestiame, a diciott’anni Maniero s’era mostrato in provincia al volante della prima Ferrari. Faceva parte di una spietata batteria di rapinatori, che si è macchiata di omicidi, di assalti ai furgoni blindati,al Casinò di Venezia e a un carico d’oro in partenza dall’aeroporto Marco Polo. Per l’anticrimine sono pericolosi, infatti sbagliano la strategia di non pochi colpi, come dimostra uno dei loro omicidi deliranti, che avverrà il 13 dicembre 1990: verrà uccisa una studentessa di 22 anni, Cristina Pavesi, che viaggia sul treno tra Milano e Venezia. Nel frattempo “Felicetto”, che tra quei balordi armati è il piùsveglio, e il più presentabile, con i capelli a caschetto e la giacca di sartoria, viene designato dai clan milanesi e dai big di Cosa Nostra in Lombardia per rappresentarli nello spaccio di droga nel Nord-Est.Gli arrivano quintali di droga nei tir carichi di arance o di salsicce provenienti dalla Sicilia o da Milano. Fa così molti soldi, ma come sanno i banchieri, “il denaro ha zampe di lepre e cuore di coniglio”. E così il pentimento nel ’95 gli sembra inevitabile. Tira in ballo i funzionari che ha corrotto, anche per le sue evasioni (tre). E, siccome sa stare al mondo, e nelle pause dei processi si diverte a ordinare uno spaghettino all’aragosta, passa a giocare un’altra partita, galleggiando tra bugie, patti e interviste. Crea il romanzo di se stesso. Rimane “dentro” un anno. Poi si nasconde in varie località protette e cambia identità, (ora dopo Luca Mori ne avrà una ancora nuova) inventandosi il mestiere di imprenditore. Ma senza averne le minime capacità manageriali: la sua attività di depurazione delle acque, fatta “alla sperindio”, entra nel mirino della magistratura e del programma Report, rivelandosi parecchio sballata. È il 2015, il boss inizia a prendersela con le donne di casa. Le accusa di volerlo fuori gioco per prendersi il bottino (inesistente) che ha nascosto. E fa riflettere che Felice Maniero abbia scontato più giorni di cella per maltrattamento che per associazione per delinquere.