la Repubblica, 24 gennaio 2025
L’Ulivo non può tornare, dice Franceschini
Il nuovo ufficio di Dario Franceschini è un’officina. Non pensate alle solite trite metafore in voga a sinistra – l’officina delle idee, il cantiere del programma. No, è proprio una ex officina. Affaccia su una strada del quartiere Esquilino a Roma e fino a poche settimane fa, appunto, ci riparavano le macchine. Franceschini, saputo che il meccanico stava per lasciare l’attività, è subentrato e ha lasciato intatto il locale. Ci ha solo sistemato un divano, due poltrone, una libreria ancora vuota, tranne un tapiro d’oro e una copia del suo ultimo romanzo Aqua e tera («Siamo alla terza edizione», rivendica da scrittore). Più la moto dei suoi vent’anni, che aveva venduto nel 1989 e che i suoi amici dem Alberto Losacco e Antonello Giacomelli hanno ritrovato in Toscana, regalandogliela per i 50 anni. Nel frattempo la moto aveva avuto sette passaggi di proprietà in vent’anni, più o meno come il Partito democratico. Anche vista da fuori sembra un’officina in attività, c’è ancora l’insegna. «Ogni tanto qualcuno bussa e chiede il bollino blu. L’altro giorno una signora mi ha detto: mi sembra di conoscerla, ho già fatto il bollino da lei, vero?». Qui Franceschini ha già cominciato a ricevere visite. Elly Schlein non è ancora venuta. Possibile che in futuro qualche candidatura del Pd o strategia parlamentare si discuta tra bielle e chiavi inglesi. Di sicuro l’officina-ufficio non sarà teatro di un incontro sul programma di coalizione o sul candidato premier, perché Franceschini – seduto davanti alla parete degli attrezzi («La considero il mio Burri», dice lui) – giura che stavolta non servono.«Dobbiamo evitare – spiega a Repubblica – di commettere gli errori già fatto in passato».Quali errori, senatore Franceschini?«Passare i prossimi tre anni ad avvitarci in discussioni: primarie sì o primarie no, Renzi sì e Conte no, o viceversa, tavoli di programma, discussioni sul nome. Si dice spesso che la destra si batte uniti. Io, se mi passa la provocazione, mi sono convinto che la destra la battiamo marciando divisi».In che senso?
«Serve realismo. I partiti che formano la possibile alternativa alla destra sono diversi e lo resteranno. È inutile fingere che si possa fare un’operazione come fu quella dell’Ulivo. L’Ulivo non tornerà, da quella fusione è già nato il Pd. E nemmeno l’Unione del secondo Prodi, con le sue 300 pagine di programma assemblato a tavolino prima delle elezioni. I partiti di opposizione vadano al voto ognuno per conto suo, valorizzando le proprie proposte e l’aspetto proporzionale della legge elettorale. È sufficiente stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra».
E agli elettori cosa direte? Chi andrà a Palazzo Chigi? Per fare cosa?
«Molte cose si discuteranno dopo il voto. In fondo, al momento di formare un governo dopo aver vinto, non fa così anche la destra?».
Che però sta insieme da 30 anni. Qui non è nemmeno certo quali siano i partiti disponibili.
«Ma questo è il modo migliore per rispettare l’autonomia di ogni forza di opposizione e superare i veti reciproci. Abbiamo un gruppo di forze che ha scelto di stare stabilmente nel campo di centrosinistra».
Sicuro che i 5S di Conte siano stabili?
«Registro che siamo all’opposizione insieme e questo è sufficiente. Non credo di dover ricordare come sicollocavano i 5S all’epoca del patto gialloverde con la Lega e dove sono ora, dopo l’esperienza del nostro governo comune del quale rivendichiamo troppo poco i risultati».
Non c’erano guerre all’epoca. Il Pd è per gli aiuti militari all’Ucraina, il M5S continua a votare contro. Come potreste governare insieme?
«Ci sarà tempo per trovare un compromesso anche su questo, ammesso che la guerra in Ucraina ci sia ancora».
Si può fare un’alleanza senza essere certi di voler condividere un’azione di governo
«Capisco chi obietta che si rinuncia a un progetto politico più ambizioso, ma è il modo di evitare altri cinque anni di Meloni. E così si può vincere».
Vuole evitare un Meloni bis perché la preoccupano i risultati del governo o perché teme di peggio?
«Meloni governa per slogan, è circondata da una classe dirigente mediocre scelta in base al criterio della fedeltà. Anche il caso del libico scarcerato temo sia un altro esempio di inadeguatezza».
Potrebbe essere stato scarcerato sulla base di accordi con la Libia presi non dalla destra.
«Allora Meloni venga a spiegare cosa è successo».
L’estrema destra avanza in tutto il mondo.
«Sì. Ma confido che l’elezione di Trump possa avere anche effetti virtuosi e mettere l’Ue nelle condizioni di dover fare un passo avanti, costretta dalla politica isolazionista degli Usa. Anche le nazioni con governi di destra hanno interesse a fare squadra, per ragioni di sopravvivenza».
E se a smarcarsi fosse l’Italia?
«Questo Meloni può forse sognarlo, ma non realizzarlo. Siamo troppo legati all’Europa e dentro i suoi meccanismi per pensare che il giochino funzioni».
Grandi movimenti al centro. Serve o no la fondazione di un nuovo partito di area?
«Sì, proprio per le ragioni che spiegavo prima. Per allargare l’offerta elettorale è utile un partito che parli di più ai moderati, che recuperi l’astensionismo di quell’area, che contenda i voti a Forza Italia. Attenzione, non una gamba esterna del Pd né un partito dei cattolici, che giustamente stanno ovunque. Quanto a noi cattolici democratici, non possiamo che restare in una forza progressista come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli».
Renzi e Calenda devono sparire?
«Devono solo essere generosi».
Il Pd che appalta la rappresentanza del centro a una forza esterna rinuncia a una delle ragioni della sua fondazione.
«Ho creduto alla vocazione maggioritaria e non lo rinnego. Abbiamo provato ogni strada, avuto segretari di ogni genere. Il calmo e l’aggressivo, il comunista e il democristiano. Risultato? Se anche il Pd arrivasse di nuovo al 30%, non basterebbe, serve comunque una alleanza. Per questo considero straordinario il lavoro di Schlein, che ha recuperato dall’astensionismo, dai delusi e dai 5S».
L’accordo elettorale di cui parla potrebbe estendersi a Forza Italia?
«Penso che, se Berlusconi fosse rimasto in vita, non avrebbe accettato a lungo di stare in un centrodestra guidato dalla destra estrema. Sia chiaro, però, il mio non è un appello a Forza Italia, perché penso che non si muoverà da dov’è. Sbagliando, perché con una legge tutta proporzionale sarebbe arbitra dei governi per i prossimi vent’anni».
L’ha detto a Tajani?
«No. I forzisti hanno in tasca il biglietto della lotteria ma non lo sanno».
Si aspetta che uno dei figli di Berlusconi scenda in campo?
«Non so, ma il fiuto mi dice di no».
Non teme che prima delle Politiche qualcuno nel Pd possa avere voglia di un altro passaggio di proprietà, come per la sua vecchia moto?
«Schlein è solida e vincente. Si sottovaluta la sua scelta di non partecipare al chiacchiericcio di giornata e parlare solo di temi concreti. Questo talvolta la fa apparire assente mentre, secondo me, alla gente arriva proprio il contrario».