Corriere della Sera, 24 gennaio 2025
La Santanché traballa
In apparenza non accade nulla. La ministra del Turismo Daniela Santanchè partecipa al Consiglio dei ministri, e si prepara ad altri incontri istituzionali. E quello che viene additato come suo possibile successore, il senatore Lucio Malan, capogruppo di FdI, assicura di avere «lo zero per cento di possibilità» di entrare nel governo. In nome del garantismo, la posizione di Santanchè, rinviata a giudizio per falso in bilancio, sembra salda. Alleati come i vicepremier Antonio Tajani, di FI, e Matteo Salvini, della Lega, le hanno garantito appoggio.
Ma forse la realtà contraddice l’apparenza. Il silenzio ufficiale tenuto finora da Giorgia Meloni tiene aperto ogni scenario. Quella che sul piano giudiziario è una giusta presunzione di innocenza, a livello politico rappresenta una fonte di imbarazzo. E dentro FdI, il partito a cui appartiene la ministra, ci si limita a dire solo che la decisione su un eventuale passo indietro spetterà semmai alla Santanché. La sensazione è che la situazione rimanga dunque fortemente in bilico.
È come se fosse tutto sospeso, in attesa che maturi qualcosa tale da permettere un epilogo il meno traumatico possibile: per lei ma in primo luogo per il governo. Il tentativo è di evitare che eventuali dimissioni offrano alle opposizioni altri pretesti per attaccare Palazzo Chigi; e magari per far chiedere agli alleati un rimpasto che Meloni vuole evitare, come ha già dimostrato nel caso dei ministri Gennaro Sangiuliano e Raffaele Fitto. Ma è chiaro che anche la dilatazione dei tempi della decisione, l’incertezza e la tenacia di Santanchè hanno un prezzo.
Si addita il 29 gennaio per capire che cosa potrà accadere. Quel giorno la Corte di cassazione dovrebbe decidere chi sarà competente per un altro processo, con l’accusa di truffa ai danni dell’Inps, se Milano o Roma. Nel secondo caso, il percorso si allungherebbe, offrendo un appiglio per rimandare la scelta. Non appare chiaro, però, se quanto avviene segua una regìa di Palazzo Chigi concordata, o rifletta una dialettica apertasi nel partito della premier.
Significherebbe che ci si trova di fronte a una ministra decisa a resistere fino a quando non si pronuncerà Meloni: al di là del silenzio ostile dentro FdI, più insidioso delle rumorose richieste di dimissioni provenienti dalla minoranza parlamentare. Difficile dare per scontata una soluzione rapida e indolore. Tanto più in un momento di tensione tra governo e magistratura per una riforma che prevede la separazione delle carriere; e che vede proteste plateali all’apertura dell’anno giudiziario, prima di uno sciopero dei magistrati a dir poco irrituale.