Avvenire, 23 gennaio 2025
Reportage da Jenin
Iragazzini con i sassi nelle tasche la chiamano «macchina del tempo». Succede quando al mattino arriva la colonna di mezzi militari israeliani, e a sera le città sono tornate ai tempi delle fogne a cielo aperto. Jenin non è solo il fronte della resistenza armata. È la prima linea di quella che Hamas vorrebbe trasformare in una guerra civile. Il vasto campo profughi, ricostruito negli anni con le fattezze di una periferia decente, luce e acqua corrente, strade e scuole, chiese e moschee, è stata riportata alle origini. Neanche l’avversata Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, riesce più a fare granché. E anche arrivarci è diventata una sfida. In tutta la Cisgiordania il numero di posti di blocco israeliani e di barriere installate dall’esercito di occupazione è arrivato a 898 secondo l’Autorità nazionale palestinese. «Meglio se parliamo di calcio», dice il riservista israeliano che dopo i soliti controlli a muso duro mostra d’essere in vena di chiacchiere. «Tanto a Jenin non vi facciamo entrare», ripete chiedendo del calciomercato italiano. I commilitoni più giovani lo osservano sbigottiti mentre si lascia andare ai ricordi dei frequenti viaggi italiani. Poi, mentre si decide a poggiare il fucile su un muretto e girare la canna dalla parte opposta, sospira: «Questa è la terra dove tutti hanno ragione. Noi, loro, voi giornalisti che volete darci lezioni di diritti umani: tutti hanno ragione, nessuno ha mai torto». I muri sono nelle parole – «noi» e «loro» – invariabilmente proferite allo stesso modo da una parte e dall’altra.
Tel Aviv sa di poter contare sulle divisioni nelle fazioni palestinesi. Hamas ha duramente attaccato gli uomini di Abu Mazen, accusandoli di avere «sparso sangue» a Jenin. Il gruppo armato, che nell’anno di guerra a Gaza ha guadagnato consensi in Cisgiordania, ha affermato che ad assediare l’ospedale al-Razi di Jenin ed arrestare i combattenti palestinesi feriti è stata la polizia palestinese, in una mossa che «supera tutte le linee rosse e l’etica nazionale». Con parole mai usate fino ad ora Hamas ha «condannato con la massima fermezza il continuo spargimento di sangue palestinese per mano delle forze di sicurezza dell’Autorità in Cisgiordania» e ha invitato «tutte le fazioni e le figure nazionali e comunitarie in Cisgiordania a uscire con tutte le loro forze per porre fine alle gravi violazioni dell’Autorità» e al contempo per affrontare «l’aggressione e gli attacchi dell’occupazione ai combattenti della resistenza a Jenin, intensificando gli scontri in tutti i punti di contatto e ai posti di blocco militari e negli insediamenti in Cisgiordania».
Prima di rimandarci indietro, il militare prende la radio per dare il numero di targa ai colleghi del prossimo check-point, dove c’è una coda rassegnata di decine di auto con la targa bianca palestinese, assicurandoci che ci faranno passare in fretta. E in effetti quando c’è da respingere i reporter e allontanarli dalle zone calde, i controlli diventano più sbrigativi. «Vedrai che prima della fine del campionato italiano cominceranno ad ammazzarsi tra di loro», preconizza il riservista al momento dei saluti. Nei primi due giorni di operazione israeliana in Cisgiordania i morti sono una ventina – dieci ieri –, i feriti almeno il triplo. Da una parte e dall’altra ognuno ha i suoi numeri. Ma la gente di Jenin, che non ha più l’acqua corrente, né l’elettricità, e neanche più la voglia di attraversare la poltiglia di asfalto e fango per raggiungere il bottegaio, vorrebbe solo poter portare i bambini a scuola senza temere il fuoco incrociato. Il ministro della Difesa israeliano ha detto che le forze armate stanno applicando in Cisgiordania «la lezione di Gaza», finalizzata a contrastare i gruppi militanti sostenuti dall’Iran. Un portavoce militare che ha rifiutato di fornire dettagli, ha confermato che gli obiettivi dell’operazione sono «relativamente simili» a quella della Striscia. Molti palestinesi hanno lasciato le loro case nel campo. Chi può salta con la famiglia a bordo della prima ambulanza di passaggio per essere portato fuori dai combattimenti.
Quella in corso è la terza grande incursione dell’esercito israeliano in meno di due anni a Jenin, da sempre roccaforte in Cisgiordania di gruppi militanti, tra cui Hamas e la Jihad islamica. Il portavoce dell’esercito israeliano, Nadav Shoshani, ha affermato che gli scontri sono a un salto di qualità, da quando i miliziani usano sempre più di frequente le mine stradali, spesso ordigni improvvisati (Ied) non molto diversi da quelli usati dai gruppi armati in Iraq. Abbastanza per non prevedere una rapida chiusura di questo nuovo fronte che sta per incendiare anche Hebron, Nablus e Gerico. Da un confine all’altro, vuol dire che l’intera Palestina potrebbe precipitare in una nuova stagione di armi a vista e morti sulle strade.
Per dirla con il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «C’è il rischio che Israele ritenga che sia giunto il momento di annettere la Cisgiordania e di tenere la Striscia di Gaza in un limbo»