Il Messaggero, 23 gennaio 2025
L’Italia salva i piccoli palestinesi malat
Far tacere le armi è solo un primo passo. La Striscia di Gaza è un’immensa distesa di macerie e tendopoli, dove la popolazione deve riprendere i fili di una vita interrotta. Nessuno sa se la tregua possa durare abbastanza per fare avere di nuovo una parvenza di normalità. In tanti, troppi, hanno perso casa, lavoro, affetti e la speranza di un futuro migliore. La ricostruzione resta un punto interrogativo. Le ferite del conflitto avranno bisogno di molto tempo per rimarginarsi, e alcune cicatrici probabilmente rimarranno per sempre sui volti, sui corpi e nei ricordi della popolazione. Ma ora c’è da affrontare prima di tutto un’emergenza. Persone che hanno perso tutto, che non hanno più strutture a cui rivolgersi e che hanno bisogno di cure, di farmaci, di medici, di cibo, di elettricità, di acqua potabile. Cose che a Gaza, in questo momento, non esistono. Il mondo sa di dovere affrontare una sfida enorme, su un territorio che può tornare a essere un campo di battaglia al minimo incidente. Ma è una sfida che molti Paesi hanno già raccolto, e tra questi, l’Italia è in prima linea. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, dopo essere stato in Israele e nei territori palestinesi, ieri ha riunito alla Farnesina un tavolo tecnico di quella che è da tempo una delle iniziative umanitarie più importanti volute dal governo, “Food for Gaza”. E in questo incontro, a cui hanno partecipato il ministro dell’Università, Annamaria Bernini, e vari rappresentanti di regioni, comuni, Fao, Programma alimentare mondiale e Croce Rossa, l’Italia ha fatto capire di volere essere capofila degli aiuti alla popolazione.Attivare un intero apparato di aiuti non è immediato. Ma intanto il governo ha lanciato una prima iniziativa rivolgendo il suo sguardo verso chi, in questo momento, deve lasciare il prima possibile la Striscia e ricevere le cure migliori: i malati oncologici. Il Policlinico Umberto I di Roma e il Regina Margherita di Torino sono già stati messi in allerta e tutto è pronto per accogliere e fornire le cure migliori a 21 bambini malati di cancro. Sono loro, i più piccoli, quelli che continuano a combattere una battaglia per la vita mentre fuori tacciono per la prima volta le armi, a dovere lasciare immediatamente Gaza. Lontano dalla miseria, dal freddo, dagli ordigni inesplosi, e soprattutto in cerca di cure e ospedali che nella Striscia nessuno può fornire. La gara di solidarietà è già scattata, tra contatti tra i vari ministeri, volontari, organizzazioni non governative e autorità locali. Ma questo non è, né vuole essere, un singolo spot. Tra qualche settimana, Tajani, che già a Ramallah ha annunciato aiuti per dieci milioni di euro, tornerà in Israele, al porto di Ashdod, per assistere allo sbarco delle prime tonnellate di aiuti provenienti dall’Italia. Si tratta di 15 tonnellate di aiuti sanitari e 15 camion gestiti dal Programma alimentare mondiale pronti a fare il loro ingresso nella Striscia. E l’iniziativa italiana guarda anche al di là dei bisogni più immediati. Perché Gaza ora ha bisogno di ripartire. Medici, farmaci e presidi medici sono le prime necessità. Devono essere aiutati i bambini. Devono arrivare i vaccini, per evitare epidemie dovute alla mancanza di igiene e di cibo. Vanno sostenute le madri. Ma la Striscia deve anche essere ricostruita. E le aziende e le università italiane possono dare un contributo fondamentale. Le città vanno ripulite dai detriti. Le infrastrutture devono essere riattivate dando elettricità, illuminazione pubblica, fognature, acqua corrente, telecomunicazioni. I comuni italiani sono pronti a fare la loro parte. E la popolazione palestinese, in larga parte giovanissima, ha bisogno anche di scuole e di insegnanti. In molti non riescono a vedere un futuro. Non riescono a pensare a una vita senza guerra. La paura, anche dei cooperanti, è che in assenza di prospettive, di istruzione e di lavoro i giovani abbiano solo una strada: quella di arruolarsi nelle milizie. E in questo buio, la luce ora può venire solo dall’esterno.