La Stampa, 23 gennaio 2025
Tremonti commenta l’avvento del Trump 2
Giulio Tremonti risponde al telefono durante una sessione di voto alla Camera. «Devo farle una premessa: non ho la sfera di cristallo. Vedo solo il programma di Donald Trump e la tragica condizione dell’Europa». Ma al termine di una conversazione interrotta più volte dalla campanella di Montecitorio l’ex ministro del Tesoro – presidente di Aspen e della commissione Esteri per Fratelli d’Italia – risponde che lo strapotere dei giganti della rete può diventare un problema serio.Perché l’Europa è in condizioni tragiche?«Ursula von der Leyen ha risposto al discorso di insediamento di Trump dalla Svizzera, durante il forum di Davos. La dimostrazione plastica dello spiazzamento esistenziale dell’Unione».Andiamo con ordine. Che differenza c’è fra il primo Trump e quello di oggi?«L’America sarà una potenza globale ma non più globalista. La fine di una lunga stagione di filosofia politica e morale».Non era un tratto caratteristico anche del primo mandato?«La prima presidenza si è sviluppata attraverso l’intervento pubblico: deregulation, detassazione degli investimenti e del rimpatrio dei capitali. L’azione di quel mandato entra in crisi con l’arrivo della pandemia. A proposito: ha fatto molta notizia l’atto di grazia di Trump contro i rivoltosi del Campidoglio, non quello di Joe Biden verso Antony Fauci, sospettato per errori sull’origine del Covid. Non a caso Trump parlava di virus cinese».Immagino i Democratici temessero l’accanimento politico verso di lui. Torniamo al secondo Trump?«Sarà una presidenza che si svilupperà in un ambiente politico totalmente diverso dal passato. Confrontiamo il primo discorso inaugurale di Obama e Trump: in perfetta logica globalista, nel discorso di Obama si leggeva “non abbiamo un passato ma solo il futuro, per l’uomo nuovo in un mondo nuovo”. La filosofia della globalizzazione era il mercato sopra, salvifico e benefico, tutto il resto sotto, compresi gli Stati. Il discorso di Trump è l’esatto opposto: la politica sopra a tutto, anche del mercato».Trump dice di voler essere un costruttore di pace. E dice che l’Europa deve finanziare le spese della Nato. Perché?«Lo aveva già detto durante il primo mandato. Oggi il paradosso sta nel fatto che allora l’America finanziava la difesa occidentale quando non ce ne era bisogno, ora che ce ne è bisogno è l’Europa che deve contribuire».C’è chi sostiene che la richiesta di aumentare il contributo europeo della Nato sia una minaccia legata alla riduzione dell’Iva all’importazione nell’Unione. Gli americani lo considerano un dazio, è così?«Non vedo un legame fra le due cose, ma è possibile che nei discorsi di Trump ci sia un obiettivo negoziale. I dazi non sono necessariamente uno strumento per fare cassa, possono essere anche mirati ad una diversa politica mercantile».E in effetti ora Trump per evitarli all’Europa vuole in cambio l’aumento dell’export di gas. Con i dazi non corre il rischio di alimentare inflazione in tutto il mondo?«La struttura del mondo è complicata, non bastano le ipotesi degli uffici studi. È presto per fare valutazioni tecniche».Uno dei primi ordini esecutivi della nuova amministrazione reintroduce tariffe doganali con Messico e Canada. È la fine del Nafta? I prossimi in lista saremo noi europei?«Insisto: è presto per fare valutazioni. Ma è bene ricordare che nella lista delle entità che tenderanno a scomparire ci sono anche l’organizzazione mondiale della sanità e l’Ocse, che ne esce ammaccata per la cancellazione della global minimum tax sulle multinazionali del tech, e non solo».Come pensa debba attrezzarsi l’Unione a questo tsunami?«Non certo rispondendo dalla Svizzera. L’Europa – lo dico da anni – è il continente più bloccato e regolato del mondo. Alcuni sostengono che lo spiazzamento dell’Unione nei confronti di Stati Uniti e Cina sia su tecnologia e ricerca. È vero, noto per esempio che se Guglielmo Marconi operasse oggi, certamente finirebbe in prigione per violazione di svariate norme nazionali e comunitarie. E ricordo che Bill Gates iniziò la sua attività in un laboratorio-garage, considerato lecito in America: in Europa sarebbe stato abusivo. Finché non si capisce che è il problema in Europa è l’iper-regolazione, non c’è speranza di cambiare le cose. L’ultima contabilità delle pagine pubblicate dalla Gazzetta ufficiale dell’Unione dal 1952 ai primi nove mesi del 2024 dice che si sviluppano su quattrocento chilometri lineari».In compenso dall’altra parte dell’Atlantico c’è il problema opposto. Criptovalute e intelligenza artificiale libera, conflitti di interesse, Elon Musk che insulta e saluta con il braccio teso in nome del free speech. Non c’è il rischio che prima o poi ciò diventi un problema per Trump?«Speriamo di no. Credo che le risposte verranno solo con il tempo».Che effetto le ha fatto la parata dei magnati delle big tech all’insediamento di Trump?«Nel discorso di commiato nel 1961 Dwight Eisenhower mise in guardia sullo strapotere del complesso militare-industriale. Oggi si dovrebbe dire la stessa cosa se i giganti della rete si spingono ad esercitare funzioni sostitutive degli Stati».Quindi anche lei teme rischi per le democrazie occidentali?«C’è il rischio di un autoritarismo senza garanzie. Nel 2022, citando proprio Eisenhower, scrissi che poteva venire il momento di iniziare ad applicare le regole antitrust».