Corriere della Sera, 23 gennaio 2025
Richard Ford commenta l’avvento del Trump 2
A Richard Ford non è mai venuta la tentazione di lasciare l’America, neanche dopo la seconda elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Non lo farebbe nemmeno Frank Bascombe, la sua creatura letteraria: lui che è stato preso a ceffoni dalla vita si farebbe andare bene questo secondo mandato, inaugurato da un discorso che è risuonato come un avvertimento a chi si metterà in mezzo al tentativo di «far tornare l’America grande».
«Certo che Frank continuerebbe a vivere qui, colui che lo ha inventato continuerà a farlo, non vedo perché Frank dovrebbe tirarsi indietro. Che cosa dovrebbe fare, andarsene in Irlanda? Anche se per saperlo veramente dovrei scrivere un altro libro su di lui», commenta al telefono, dal Montana, l’ottantenne premio Pulitzer Richard Ford – da poco in libreria con Per sempre (Feltrinelli) – con una punta di orgoglio.
Trump ha dato ordine di mettere in congedo retribuito tutti i dipendenti federali dei programmi di «diversità, equità e inclusione». Pensa che questa svolta culturale sia in qualche modo figlia degli errori delle politiche democratiche, degli eccessi che vengono attribuiti, un po’ frettolosamente, alla cosiddetta «woke culture»?
«Non credo che la responsabilità sia da attribuire alla cultura woke, che si è inizialmente imposta sotto i migliori auspici, con un fondo ideologico serio. Il problema è che con il tempo, come tutti i movimenti di massa, è caduta nelle mani di persone che non possedevano una visione politica valida, preoccupate più delle proprie istanze personali che di quelle della comunità. La cultura woke ha promosso inclusività e diversità. Non penso affatto che si debba attribuire a questo movimento la responsabilità del nuovo corso culturale trumpiano».
Come cambierà dunque l’America dal punto di vista culturale?
«Custodisco una sorta di inesauribile ottimismo, che mi porta a non pensare che ci aspetti il peggio nei prossimi quattro anni. Chi non ama la diversità e l’inclusività rimarrà sempre un cittadino degno di essere rispettato, il suo voto vale quanto quello di chiunque altro. Ha il diritto di portare avanti le proprie opinioni. Anche se non mi trovo d’accordo, penso che abbia lo stesso diritto a esprimersi che ho io. Ha il diritto di reagire alle proprie paure, che sono il motivo per cui ha votato Trump. Mi spaventano certi esponenti repubblicani, le loro bugie. Questo mi spaventa più di tutto. Ma del resto anche Joe Biden è stato un grande bugiardo».
Qual è il grado di colpa dei democratici nella rielezione di Trump?
«È in gran parte colpa loro. Biden non è stato in grado di nominare un esponente democratico capace di battere Trump. Ha fallito. Non riesco a capacitarmi di come non abbia capito in anticipo che avrebbe perso le elezioni se si fosse candidato».
Sembra che Trump abbia un grande desiderio di vendetta. La prossima amministrazione la preoccupa di più rispetto alla prima, cominciata nel 2017 e finita con l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021?
«Sarà sicuramente peggiore della prima, non ho dubbi. Solo un uomo folle poteva decidere di non accettare il risultato di un’elezione democratica. Il perdono presidenziale è un diritto costituzionale: il problema è con chi decidi di usare clemenza. Se lo fai con gli assalitori di Capitol Hill, dei criminali, come ha fatto Trump, non è normale. Mi aspetto decisioni a dir poco bizzarre nei prossimi quattro anni. Devo essere sincero: negli ultimi giorni ho allontanato lo sguardo da quello che succede a Washington, è come se mi fossi disinteressato. Non posso, e non voglio, continuare a indignarmi. Ho bisogno di trovare qualcosa di buono che mi faccia tornare a credere nell’America».
Come ha reagito al «saluto romano» di Elon Musk?
«Non mi interessa nulla di Elon Musk, né di quello che fa. Mi interessa il futuro del mio Paese».
Come affronterà la nuova era di Trump il mondo letterario? Prevede una sorta di mobilitazione?
«Non negli Stati Uniti. Forse in Italia, o in Francia, sicuramente non qui. Gli scrittori americani non pensano che i loro libri abbiano una qualche influenza sul dibattito interno. Non sono, non siamo, veramente interessati alla politica. Affidiamo il compito di affrontare la politica agli esperti».