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 2025  gennaio 22 Mercoledì calendario

Lo psichiatra che visitò Stalin

Alla vigilia di Natale del 1927 il celebre neuropatologo, psicologo e psichiatra Vladimir Bechterev muore improvvisamente in circostanze misteriose. A far sollevare dubbi su un decesso per cause naturali è la circostanza che l’insigne medico il giorno prima avesse visitato Josef Stalin. Ha forse formulato una diagnosi sgradita? Ad alcuni avrebbe fatto una confidenza fatale: «Ho visitato un paranoico con il braccio atrofizzato». Ma questo cozzerebbe con la sua fama di rispetto della deontologia. Fatto sta che la repentina, inspiegabile dipartita per avvelenamento viene subito spiegata con un’intossicazione alimentare. Una vicenda sulla quale è caduta una coltre di oblio sotto l’Urss e che è stata ripresa dopo il 1989 come cold case, sul quale ora lo psicologo, storico e russista Luciano Mecacci indaga in Lo psicologo nel palazzo. Il caso Bechterev-Stalin (Palingenia, pagine 344, euro 29,00).
In epoca di disgelo il caso Bechterev era stato in parte riesumato anche per avvalorare le tesi (comoda) che Stalin fosse un pazzo. Nel 1995 la nipote ha, però, alluso a un’altra ipotesi: che Bechterev sia stato ucciso per il fatto essere a conoscenza di segreti su un’altra morte illustre, quella di Lenin, da lui visitato più volte e definito in un articolo «un uomo dalla volontà di ferro». Sullo sfondo si agita anche il progetto di un Pantheon di cervelli, che oltre a quello del leader bolscevico (subito requisito) avrebbe dovuto ospitare anche quelli del poeta Esenin e del fondatore della Ceka, la polizia segreta, Dzerzinskij. Bechterev lo avrebbe voluto nel suo istituto di Leningrado, le autorità, dopo la sua “provvidenziale” morte, lo fecero a Mosca. Vi finì anche il suo.
Bechterev era nato nel 1857 a Sorali (oggi Bechterevo in suo onore), uno sperduto, piccolissimo villaggio dell’Impero zarista a mille chilometri a ovest di Mosca. «Era un uomo che anche fisicamente colpiva: alto, la complessione imponente, una barba foltissima, aveva l’aspetto del tipico contadino della sterminata campagna russa», il ritratto che ne fa Mecacci. Tratti che ricordano quelli di un Rasputin, se non fosse che Becheterev si dedicasse alla scienza, non alla mistica (ma, figlio del suo tempo, si interessò anche di fenomeni paranormali come la telepatia). Dopo aver servito come sanitario nel conflitto russo-ottomano, riprese gli studi presso l’Accademia imperiale di medicina e chirurgia della capitale, San Pietroburgo, e fece esperienze di rilievo all’estero. A Parigi, dove lavorò nella clinica psichiatrica della Salpètriere, diretta dell’illustre Jean-Marie Charcot, a Lipsia, Halle, Monaco di Baviera e Vienna con Theodor Meynert, che ebbe tra i suoi allievi un certo Sigmund Freud. Insomma, nel 1885, a soli 28 anni, era già uno studioso di livello internazionale, ed ottenne la cattedra di Psichiatria all’Università di Kazan’. Passò, poi a San Pietroburgo e vi portò i suoi metodi all’avanguardia per l’epoca, basati sulla proibizione della contenzione dei pazienti e sull’occupare gli stessi in attività nell’orto e in laboratori di oggettistica, poi messi in vendita nelle fiere. Fondò poi nel 1904 una scuola autonoma, l’Istituto di psiconeurologia, in cui si univano gli studi sulla psicologia individuale a quelli di psicologia sociale. La manipolazione delle masse era a quei tempi (non solo) un campo d’avanguardia. E infatti i bolscevichi furono assai interessati agli studi di Bechterev. Tra i suoi allievi questi ebbe l’attrice e regista lettone Asja Lacis, collaboratrice di Bertolt Brecht e poi legata sentimentalmente al filosofo Walter Benjamin. E Larisa Rejsner, futura scrittrice, anche lei come Asja una pasionaria rossa, che alla morte venne ricordata con stima da Joseph Roth e Boris Pasternak.
Tutti elementi che fanno capire il retroterra umanistico che accompagnava gli studi dello psichiatra. Il che in parte spiega come la vicenda dello studioso russo abbia, con tutta probabilità, ispirato lo scrittore ebreo tedesco Lion Feuchtwanger per la novella “Storia del dottor Bl., fisiologo del cervello”, che Mecacci pone come “prologo letterario” al saggio (dello scrittore in appendice vengono pubblicate anche un’intervista a Stalin e un resoconto del viaggio in Russia su invito del dittatore). Nel racconto un fisiologo, dopo aver eseguito, esplicitamente richiesto, l’analisi dell’intelligenza su un dittatore, si ammala e muore. Un racconto che, viste le analogie, «non si può leggere (…) senza essere attraversati da una sottile inquietudine», scrive Mecacci. Tale “notorietà” all’estero che fece da contraltare alla damnatio memoriae in patria. Lo studio ha il merito di ricostruire, grazie alla riapertura degli archivi, russi, non solo la storia di uno dei tanti intellettuali e uomini di scienza epurati nel terrore sovietico e cancellati fino alla perestrojka, ma di dare un quadro dei complessi rapporti tra scienza e potere. «Della scienza della psiche che si scontra – precisa l’autore – con il potere di colui che quella stessa psiche controlla e governa».