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 2025  gennaio 22 Mercoledì calendario

La vita fantasma delle colf in casa nostra

Il settore del lavoro domestico retribuito coinvolge 1.576. 321 lavoratrici e lavoratori, un terzo dei quali italiani, una percentuale in crescita negli ultimi anni. Si tratta nella grandissima maggioranza (88,6%) di donne, anche se la piccola percentuale di uomini è in lieve aumento, specie tra gli italiani.Nonostante sia un settore di occupazione di notevoli dimensioni, presenta un tasso di irregolarità altissimo, pari al 47,1%, (in aumento, dopo un periodo di diminuzione dovuta anche alle diverse regolarizzazioni) a fronte del 9,7% stimato dall’Istat per l’intera platea degli occupati ed anche del 20% dell’agricoltura, il secondo settore per tasso di irregolarità.Non stupisce, quindi, che sia anche un settore con una forte incidenza di lavoratori, o meglio lavoratrici, povere ed anche senza alcun tipo di protezione sociale in caso di malattia e perdita del lavoro e con l’aspettativa di non avere una pensione quando, anziane, non saranno più in grado di svolgere un lavoro obiettivamente pesante. Sono i dati che emergono dall’ultimo Rapporto dell’Osservatorio Domina, la maggiore associazione dei datori di lavoro domestico. I quasi due milioni di famiglie che impiegano una lavoratrice o lavoratore domestica, regolarmente o irregolarmente, spendono tra stipendi e contributi circa 13 miliardi all’anno (dato del 2023): 7,6 miliardi per la componente regolare e 5,4 miliardi per quella irregolare. A dimostrazione dei mutati bisogni delle famiglie a fronte dei fenomeni di invecchiamento, negli anni si è progressivamente chiusa la forbice tra colf (che erano la categoria prevalente) e badanti, che oggi sono quasi la metà e, soprattutto, assorbono la quota di spesa familiare maggiore: 7,2 miliardi annui rispetto a 5,8 per le colf. Anche senza considerare che spesso le famiglie possono assumere come colf una persona cui richiedono anche compiti di badante (termine per altro poco dignitoso sia per la lavoratrice che per la persona bisognosa di aiuto) e viceversa, 7,2 miliardi sono quasi un terzo di quanto spende lo Stato (25, 5 miliardi) per la cura di lungo periodo per le persone non autosufficienti.Il rapporto Domina calcola che, anche azzerando completamente l’indennità di accompagnamento, che oggi va a sostegno dell’assistenza a domicilio (ma che non è fruita da tutti coloro che sono nella condizione di aver bisogno di aiuto nella vita quotidiana), la spesa pubblica salirebbe a 31,5 miliardi. Grazie all’onere finanziario assunto dalle e famiglie, nel 2023 lo Stato ha quindi risparmiato 6,0 miliardi di euro, pari allo 0,3% del Pil.Non tutte le famiglie possono tuttavia permettersi un aiuto domestico e di cura. Non è un caso che sia maggiormente presente nelle regioni del Centro-Nord, dove la ricchezza delle famiglie è maggiore, oltre che più alto il tasso di occupazione femminile (quindi più scarsa la disponibilità di lavoro domestico e di cura gratuito femminile). Ciò significa che in molte famiglie, e per molte persone, in particolare anziane, fragili il bisogno di cura rimanga insoddisfatto o soddisfatto solo parzialmente. L’assegno di accompagnamento, quando c’è, infatti, non è di importo sufficiente per pagare, tanto meno adeguatamente e “in regola”, la quantità di tempo e lavoro di cura necessario.La ripresa dell’aumento dell’irregolarità è una spia non solo del persistere di una visione di questo lavoro e lavoratrici come un “non lavoro vero”, ma delle difficoltà in cui si trovano molti budget familiari anche non poveri a combinare la necessità di ricever aiuto e sostenerne i costi. Ciò può condurre al nero totale, o anche a situazioni miste, con solo parte delle ore “in chiaro” e le altre in nero. Anche la riduzione delle detrazioni fiscali al di sopra dei 70.000 euro di reddito per chi non ha figli a carico senza considerare la spesa per badanti o simili sostenute da molte famiglie con anziani può costituire un pericoloso incentivo all’irregolarità. Alcune lavoratrici possono trovarci anch’esse una convenienza temporanea, per non alzare l’Isee familiare che farebbe perdere o ridurre qualche beneficio (il rischio sempre in agguato quando si ricorre a un test di mezzi familiari), salvo poi trovarsi senza protezione e senza pensione.Va detto che anche le politiche pubbliche tendono a considerare queste lavoratrici, anche quando regolare, una categoria a parte, con meno diritti. Si veda da ultimo la loro esclusione dalla decontribuzione se madri di due o più figli. Avendo affidato pressoché esclusivamente alle famiglie, con le loro diverse e diseguali risorse, la responsabilità di fronteggiare i bisogni derivanti dalla fragilità in età anziana e la non autosufficienza, l’Italia è in enorme ritardo nelle politiche i questo settore. La riforma tanto attesa è rimasta un guscio vuoto, salvo per il cosiddetto assegno universale, che in realtà riguarda una porzione piccolissima di anziani e non affronta in nessun modo la questione dell’appropriatezza delle cure prestate e della qualificazione di chi le presta.