la Repubblica, 22 gennaio 2025
Lo stoicismo rifugio in tempi di crisi
Cosa c’è al mondo? Corpi, non altro che corpi. Anche se percorressimo l’universo intero alla velocità della luce non troveremmo altro che corpi. La condotta di alcuni di questi corpi, tuttavia – il nostro, anzitutto – ci riguarda da vicino. E se ci sarà una fisica come dottrina generale dei corpi, ci sarà un’etica come dottrina relativa alla nostra condotta, mentre la logica servirà per mettere ordine e verità nei giudizi che diamo sui corpi e sulle loro condotte. È tutto.Logica, fisica ed etica sono le tre parti del sistema della filosofia, secondo gli antichi stoici. Che a volte paragonavano la filosofia a un frutteto: la logica era allora rappresentata dal muro di cinta, che custodisce gli alberi (la fisica), dai cui rami pendono i frutti (l’etica). In un’altra immagine, la filosofia è un uovo: il tuorlo è l’etica, nutrita dall’albume (la fisica), protetta infine dal guscio (la logica).L’etica era per gli antichi il coronamento di una filosofia, concepita essenzialmente come arte del vivere. E tornata prepotentemente di moda. La si può far semplice, per spiegare il revival neostoico degli ultimi anni – i libri di John Sellars, di Massimo Pigliucci, di Ryan Holiday, le ristampe di Seneca, di Epitteto, di Marco Aurelio – che mescola in verità un po’ di tutto: edizioni critiche e dottrine di autoaiuto, interesse storico- culturale e ricette della felicità: che vita vuoi condurre? Cosa ti aspetti da essa? O meglio: cosa è ragionevole aspettarsi? Ci sono cose che non puoi fare, che sfuggono al tuo controllo: perché darsi pena per esse? Quel che puoi fare, quel che dipende da te e governi interamente è solo la tua opinione sulle cose: di quella devi curarti. Ora, guarda il mondo: quanta parte hai in esso? Epidemie, guerre, ma anche una rivoluzione tecnologica che cambia la faccia del pianeta. Per certi versi la tecnologia ci avvicina il mondo; per altri, ce lo rende più lontano e imperscrutabile, perché non c’è nulla, ormai, che passi da noi, che venga deciso nei nostri pressi, nella dimensione del comune o della città: tutto ci sorpassa, tutto avviene sulla scala del gigantesco. Satelliti, data center, movimenti di Borsa, mutamenti climatici.La filosofia – diceva Epitteto, lo schiavo liberato vissuto nel II secolo dopo Cristo – non promette di procurare all’uomo beni esteriori, perché ha altra materia: la vita stessa di ognuno. Insegna come evitare di lasciarsi sopraffare dalle cose, curando la propria anima. È un esercizio: una forma di ascesi. Il corpo si tiene in buona salute attraverso esercizi fisici, l’anima si cura attraverso esercizi spirituali: imparando a dare importanza non alle cose, ma al nostro giudizio su di esse. Una sorta di training autogeno, come quello che l’imperatore Marco Aurelio conduceva quotidianamente: cosa sono le ricchezze che l’avido brama, cosa sono gli altri che invidiamo o di cui ci innamoriamo? E cosa il cibo, o il sesso? Sono natura, materia, nient’altro che corpi, il cui valore possiedono non in se stessi, ma solo nella misura in cui lo accordiamo loro. Questa, di concedere il nostro favore o di ritirarlo, è l’unica cosa che conta, ed è anche l’unica davvero in nostro potere. È la nostra virtù, quella che permette di dominare le passioni, e di essere liberi tanto sul trono, quanto in catene.Ma ora mettiamo un po’ d’ordine. Al tramonto della polis greca, quando, con la costituzione dei regni ellenistici, sfiorisce il senso dell’antica “politeia”, di una vita che trovi il suo senso nella partecipazione alla cosa pubblica, la filosofia inventa per l’uomo un’altra, più appartata forma di felicità: uguale per ogni uomo, una e medesima in qualunque condizione si trovi. È una forma di consolazione, ma anche una misura di ragionevolezza: ha senso disperarsi per ciò che è inevitabile? C’è motivo di appassionarsi a ciò che non si può avere?In tempi di crisi, quando è difficile capire cosa la storia tenga in serbo per noi, il neostoicismo offre un’àncora di salvezza a chi voglia costruire almeno il proprio rifugio interiore. Fu così nel mondo antico, quando a Roma – tra sudditi, non più tra cittadini – la lezione di Zenone di Cizio, il fondatore della Stoà, tornò in voga, e, con l’aggiunta di una severa dottrina del dovere, divenne quasi l’ideologia ufficiale dell’impero, in grado di reggere la concorrenza delle religioni d’Oriente (cristianesimo compreso). Fu così all’uscita dal Medioevo, per uomini di legge come Giusto Lipsio o Guillaume Du Vair, che seppero farne, in mezzo a guerre civili di religione e Stati nazionali nascenti, un invito alla tolleranza e una forma di vita non completamente secolarizzata, in grado di restituire fiducia nella razionalità del mondo e di procurare la tranquillità dell’anima.È così anche oggi: la politica è in disordine, scienze naturali e tecnologia vanno per conto loro, restano da coltivare non più passioni collettive ma forme di saggezza personale, per dare un senso alla nostra presenza nel mondo. Sicché, nel crepuscolo delle religioni, quando anche lo scandalo della Croce deve farsi più costume etico che paradosso religioso, torna utile il filosofo come maestro esemplare di spiritualità.Lo scoglio metafisico ultimo è la libertà: gli Stoici credevano in una sorta di determinismo universale, ma se tutto accade perché deve accadere, quale spazio ho per decidere della mia vita? In realtà, se l’accadere del tutto non mi precede ma mi costituisce, se è tale solo nella mia prospettiva, allora formarsene una retta e giusta dona la vera libertà. Fare le cose a regola d’arte, del resto, non vuol forse dire farle proprio come devono essere fatte? L’accento non cade forse sulla necessità, sulla regola? Un’arte del vivere, cioè una vita condotta a regola d’arte: la promessa neostoica è che, nel silenzio delle passioni, accordarsi alla razionalità di quella regola, come logos universale che tutto governa, è la sola virtù, e insieme la sola felicità. E quanto più il mondo ci sembrerà in preda a febbri e convulsioni, tanto più sentiremo urgente il bisogno di trovarla.