la Repubblica, 22 gennaio 2025
Ritratto della velocista Doualla con famiglia
C’era una volta una bambina che correva sempre, correva dappertutto, nessuno riusciva ad acchiapparla, non la mamma, non la maestra: infatti la maestra consigliò alla mamma di iscriverla ad atletica, e da quel giorno cominciarono a non acchiapparla più le avversarie. Al limite la batteva qualche maschio. C’era una volta Kelly Doualla, 15 anni in volo verso il futuro.Gruppo di famiglia in un interno e dentro lo schermo di Zoom: si stringono per starci tutti, e fanno tenerezza. Solo Frank, che sarebbe il fratello di Kelly, prova a scivolare fuori dal video ma lo acciuffano subito. Che squadra, i Doualla. In ordine di apparizione: papà Roudolph, mamma Hortense, Frank e Kelly. Cominciamo da lei, la bimba che dà del tu al vento, 7 secondi e 23 nei 60 metri indoor, quarto tempo di sempre per un’italiana.Una così, come minimo alle Olimpiadi.«Infatti penso già a Los Angeles 2028, è quello il sogno. Tutta questa attenzione non mi fa né caldo né freddo, ci sono abituata, non ho mai perso una gara in vita mia: il problema sarà quando succederà. Ho sempre battuto tutti, forse è un dono, forse impegno, determinazione, sostegno di chi mi segue. Avevo anche provato col tennis ma non ero brava, e io devo essere sempre la più brava in quello che faccio».Papà Roudolph è arrivato dal Camerun in Italia nel 1999, a San Giuliano Milanese. «Perché lì c’era già mio zio. Mi sono trovato subito bene, la Lombardia è casa mia. Adesso viviamo a Sant’Angelo Lodigiano e abbiamo la cittadinanza italiana. La bambina corre veloce, sì, ma io penso che dobbiamo proteggerla e lasciarla essere una quindicenne come tutte».E qui entra in scena mamma Hortense, mica tanto d’accordo. «Io non mi sono integrata subito, no davvero. Mi ero iscritta a ingegneria gestionale e ricordo la prima lezione, a Pavia: io, seduta in un banco col vuoto intorno, nessuno che si fosse messo vicino a me. Non volevo tornare, ma già il giorno dopo mi sono fatta le prime amiche, anche se poi non mi sono laureata: faccio la “oss”, operatrice socio-sanitaria in una casa di cura dove lavora anche mio marito. Siamo vicini a persone fragili, è un mestiere importante».Kelly è nata nel 2009, l’anno dei record mondiali di Bolt sui 100 e 200, a volte il destino. Quand’era una donna di anni sei, entrò in gioco la maestra. «Mi convocò a scuola» dice mamma Hortense «dopo la prima lezione di ginnastica e mi disse che questa bambina bisognava mandarla ad atletica leggera. In effetti, Kelly ci scappava al parco e correva pure se c’era da prendere un bicchiere a due passi. Poco alla volta, giuro, ho pensato che potesse diventare una stella mondiale».Kelly ha appena finito i compiti, «un progetto sull’auto elettrica, devo solo colorare le tavole». Liceo delle scienze applicate con curvatura sportiva (si chiama così). «Corro, studio, esco con le amiche e il giorno finisce. Sui social sto poco, preferisco guardare che postare. Vorrei diventare come Paola Egonu oppure Jacobs: siamo italiani al cento per cento, anche se qualche scemo sui social non lo accetta, ma io non leggo certi commenti». La mamma invece sì: «C’è chi scrive che Kelly non è italiana e non è lombarda, anche se è nata a Pavia, perché è nera. Forse sono gli stessi che pensano che Sinner sia tedesco: a volte, voi italiani siete strani». Papà Roudolph ha la soluzione: «Fare bene le cose, farle meglio di tutti, vincere, così certa gente non parla più».Una mano, la mano di Kelly, afferra il fratello e lo tira dentro l’inquadratura. Alla fine, parla anche Frank: «Se mia sorella è il sole, io sono la luna. Lei estroversa, io solitario. Gioco a calcio in seconda categoria nel Graffignana, mi ero iscritto a lingue ma ho smesso, ora cerco un lavoro. Kelly batte tutte le femmine e molti maschi, ma non me: contro di lei, vinco anche in pantofole». Mai provocare una campionessa: «Veramente, la mamma non vuole che ci sfidiamo, e non vuole neanche che io messaggi sempre con le amiche, o che mangi al fast food che mi piace tanto: ci sto provando. Lo sport è bello tutto, ammiro Sinner anche per come si comporta, ho giocato a calcio e tifo Milan come papà e Frank, invece mamma è della Juve». Hortense conferma: «In Camerun ero pazza di Roberto Baggio e del suo codino, sono diventata bianconera per questo».Kelly si allena a San Donato, dopo San Giuliano e Sant’Angelo Lodigiano è un mondo pieno di santi e di angeli (Los Angeles). Deve per forza esistere qualcosa di miracoloso in una quindicenne che corre così: «La corsa è libertà, è felicità, sembra proprio di volare. Da piccola volevo fare la veterinaria, poi mi sono accorta che gli animali mi spaventano. Spero che correre diventi il mio mestiere per tanto tempo. Questo pomeriggio non devo neanche allenarmi, così dormirò due ore e poi finirò i compiti. Però vorrei essere meno emotiva: una volta ho pianto perché avevo vinto una gara con un tempo deludente, peggiore che in allenamento. Ma questo è solo l’inizio. L’importante è partecipare? Chi ha l’ha detto? Io voglio vincere i 100 metri alle Olimpiadi».