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 2025  gennaio 22 Mercoledì calendario

Il novello signore Trump

Donald Trump è tornato alla Casa Bianca come miliardario nuovo di zecca, grazie alla criptovaluta personale che ha lanciato alla vigilia dell’insediamento: tutti possono mettere soldi sul conto del presidente degli Stati Uniti d’america, in sostanza. Lo stesso ha fatto la moglie Melania. Forse il cappello calato sugli occhi era un modo per nascondere l’espressione sbalordita. Chi poteva immaginare che gli Usa accettassero tanto, e tanto in fretta?
La democrazia americana, come la conoscevamo, non c’è più. C’è una nuova Signoria, e noi italiani abbiamo gli strumenti per interpretarla. La Signoria era una imposizione che si basava sul consenso del popolo. Venne dopo i Comuni. Esordì nel Duecento, si consolidò nei secoli successivi. Il governo di un individuo al posto del governo di un gruppo, perennemente in lotta con altri gruppi, classi, fazioni, corporazioni o famiglie. Molti italiani, allora, accolsero la novità con favore. Molti americani, sette secoli dopo, sembrano sulla stessa strada.
Il novello Signore perdona gli insorti, cambia il nome a un golfo, decide di riprendersi un canale fra due oceani, deride il cambiamento climatico, esalta petrolio e gas; liquida le battaglie identitarie come sciocchezze; contesta la legittimazione dei magistrati a giudicarlo; mette amici, parenti e miliardari nelle istituzioni. La reazione del popolo qual è? Applaude e approva. Chi disapprova cerca di convincersi che, in fondo, questo rientra nella normalità. Deve farlo, ne va della sua salute mentale.
Gli americani hanno preso atto del declino di Joe Biden, degli eccessi democratici in materia di identità e di genere, dell’intrattabilità di alcuni problemi utilizzando strumenti consueti (l’immigrazione clandestina, i cartelli della droga). E hanno scelto quello che scelgono sempre i popoli in ansia: credere alle promesse roboanti del nuovo potere.
Il Signore – ieri e oggi – si fa scudo con la comunità: chi contesta lui, odia la nazione. Vuole essere amato, e soffre quando questo non accade. Non intende cambiare stile, frequentazioni o decisioni, per conquistarsi quell’amore: lo vuole e basta. Davanti ai suoi eccessi – nei giorni dei Trump come al tempo dei Visconti o dei Medici – la reazione dell’opinione pubblica è la stessa. Stupore: non indignazione. Curiosità: non domande. Ironia, tutt’al più: non vere proteste.
Nelle democrazie stiamo perdendo l’abituare a discutere il potere. I media, che per mestiere devono – dovrebbero – farlo, hanno finito per rendersi antipatici; l’opinione pubblica chiede racconti consolanti, non problemi. L’america – come spesso capita – guida la nuova tendenza. Il nuovo Signore lo ha capito. L’ostilità delle testate tradizionali – oggi ridotta, la Casa Bianca sbianca molte macchie – è stata esibita da Donald Trump come un gonfalone. Il potente, nel mondo nuovo, non è più costretto all’understatement del potere.
Può sfoggiarlo: buona parte dell’opinione pubblica vivrà i suoi eccessi come motivo di divertimento o, addirittura, d’orgoglio.
Il consenso, ai tempi delle Signorie, era espresso per acclamazioni sommarie. Oggi ci sono le elezioni, ma il meccanismo è lo stesso. Donald Trump si è mostrato capace di cadute e resurrezioni, lealtà e amnesie, perdoni e vendette, elevazioni e ripudi. Non ha fatto nulla per predisporre una successione ordinata (vedremo quanto durerà il vice J. D. Vance). Il partito è solo il piedistallo necessario a reggere il monumento. Chi comanda, nell’antica e nella nuova Signoria, non deve giustificare le proprie azioni. La sottomissione è la regola.
Nelle antiche Signorie si muovevano figure potenti: alcune venivano promosse, altre liquidate. Tutte erano consapevoli che il proprio destino dipendeva dal Signore. Alcune pensavano di scalzarlo e prenderne il suo posto. Altre, di condizionarlo. Sarebbe
interessante, a questo proposito, sapere cosa pensano i nuovi oligarchi tech, impettiti in prima fila il giorno del trionfo. Tutti, certamente, ritengono di poter trarre vantaggi da Donald Trump. Qualcuno pensa di condizionarlo. Potrebbe riuscirci. Oppure no.
Un altro aspetto accomuna gli antichi e novelli Signori: la cura della propria immagine. Se di Cosimo de’ Medici, primo signore di Firenze, non esiste una rappresentazione autentica, di Federico da Montefeltro – suo contemporaneo – si contano invece trentatré ritratti, la maggior parte commissionati da lui stesso. Il duca di Urbino era un maestro del product placement: appassionato bibliofilo, inseriva i suoi ritratti nelle pagine di pergamena dei codici, cosicché fossero i grandi classici a custodire e trasmettere la sua icona. Un meme ante-litteram, potremmo dire.
Anche il nuovo Signore cura meticolosamente la propria immagine: le espressioni di Donald Trump – compresa l’ultima, con lo sguardo torvo – sono diventate proverbiali. Nel Montefeltro del XV secolo i pittori di corte scelsero il profilo per nascondere un occhio perduto dal duca durante un torneo in onore di Francesco Sforza, nell’anno 1451; e concentrarono l’attenzione sul naso aquilino, facendone l’appendice più famosa d’italia. Donald Trump ha il ciuffo, il cappellino rosso, l’orecchio insanguinato, il pugno di Fight, fight!: funzionano, pare. Il pubblico non conosce la realtà, solo la sua rappresentazione. E nessun ammiratore e disposto a tollerare che l’oggetto della propria ammirazione sia immeritevole: finirebbe per dubitare del proprio sguardo.