Libero, 21 gennaio 2025
Consigli anti stress dopo l’insediamento di Trump
La dottoressa Charmain Jackman, psicologa, stava seduta nello studio della Cbs News. «Vi siete accorti che non state bevendo o che siete inappetenti? Faticate ad addormentarvi?» – ha chiesto – «Sono tutti sintomi dell’ansia». Per sconfiggerla «evitate di guardare i social e le notizie, nutrite la vostra anima». Jackman non ha citato Donald Trump, ma il titolo della trasmissione era “Come affrontare lo stress dell’Inauguration day”. I consigli, casamatta del razionale, quantomeno venivano via gratis (la battuta di Woody Allen sulla psicologia, ne La dea dell’amore, resta insuperata: Edipo giacque con sua madre e «una nuova professione era nata, da duecento dollari l’ora e ore da cinquanta minuti, per giunta»).
Su tutti, i più preoccupati per la salute mentale dei lettori (o della loro?) sono stati i giornalisti di Time. Hanno stilato undici attività «supportate dalla scienza», e sguinzagliato altrettanti esperti, affinché i democratici superassero incolumi la giornata. Anindita Bhaumik, specializzata nei traumi psicologici, ha suggerito il volontariato: riduce lo stress e la depressione, aumenta la felicità, dà soddisfazione e senso di appartenenza alla comunità.
Il futuro dell’America non dipende da te, era la carezza, quindi focalizzati su ciò che puoi controllare. Mentre il nuovo presidente presta giuramento, va’ a fare jogging o inforca la bici. Non potrai impedire a Trump di mettere nuovi dazi, ma puoi fare dieci flessioni perfette.
Non ti piace fare movimento? Disegna: è un modo per concentrarsi e scacciare i cattivi pensieri. Hai un’intera giornata da dedicare alle paturnie? Scegli il forest bathing, tipo i bagni di sole ma nei boschi. Non à la Thoreau per «succhiare tutto il midollo della vita», ma per trovare equilibrio. La psicologa ha raccontato, senza vergogna, di essere appena tornata dal New Hampshire dove ha trascorso ore a guardare le montagne, contare gli alberi, osservare i rami spogli. «Quei monti saranno lì per sempre, mentre noi stiamo su questa terra per così poco tempo… Tutto passa, la natura resta» (adesso vorremmo un valium).
Per «proteggere la propria pace» un terapeuta ha invitato a scrivere, un vomito di parole e bile per placare il disordine mentale (lo facciamo tutti i giorni sui social, i risultati non rincuorano). Se hai un amico che odi, puoi mandare il testo a lui. I meno infami, gli avrebbero potuto portare una torta: fare del bene agli altri, gratifica.
Altre strategie di sopravvivenza erano salutare e sorridere ai passanti, perché dà fiducia, almeno finché qualcuno non chiama la polizia. Oppure ballare. Le canzoni giuste erano Shake It Off di Taylor Swift o Happy di Pharrell, che innescano il rilascio di dopamina e endorfine. Ma valeva anche il contrario, e cioè piangere: non da soli, però. Serviva un amico, sempre lui, lo sventurato, che si prendesse cura del dolore. Il vero lusso era piangere insieme, «rinsalda i legami sociali» e si smezzano le spese dei fazzoletti. Ultime forme di escapismo, a pagamento, erano andare a teatro o a un concerto perché «lo stupore fa sentire connessi agli altri esseri umani».
Sul sito della Mental Health Foundation i “Suggerimenti per prendersi cura della salute mentale durante eventi traumatici” sono tornati tra gli argomenti più popolari: erano stati consultati durante la pandemia e quando scoppiò la guerra in Ucraina. Al pari di allora, nella sconfortante banalità retorica, sono andati per la maggiore gli esercizi di respirazione. Seguiva l’attivismo politico, francamente più utile di fare puzzle (l’offerta della Northwestern University) o di aggrapparsi alla speranza di un giorno migliore (è stata la perla di Joe Biden, domenica).
Tra quattro anni, forse, li ritroveremo nei boschi, come quel soldato giapponese, Hiroo Onoda, che rimase nella giungla filippina per 29 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, convinto che ci fosse ancora qualcosa contro cui combattere.