Avvenire, 21 gennaio 2025
In Giappone: povere e sole, preferiscono la prigione
La Cnn è entrata nella prigione femminile di Tochigi, a nord di Tokyo. E si è trovata dinanzi a una realtà inaspettata. Sempre più “bianca”. La popolazione carceraria femminile in Giappone invecchia. Ma non solo: un drammatico paradosso finisce per alimentarla. Molte donne anziane preferiscono il carcere – all’interno del quale sono in qualche modo accudite – alla vita che le aspetterebbe fuori: una esistenza fatta di solitudine e abbandono. E per questo, a volte, reiterano i reati, in gran parte “minori” (come i furti) soltanto per prolungare il “soggiorno” dietro le sbarre.
Una realtà terribile catturata dalle parole delle guardie carcerarie che lavorano all’interno del penitenziario e che aprono una finestra, altrettanto angosciante, su uno spaccato di realtà giapponese. «Ci sono persone che fanno in modo di finire qui per il freddo o perché hanno fame», racconta un agente all’emittente statunitense. «Anche dopo essere state rilasciate ed essere tornate alla vita normale, non hanno nessuno che si prenda cura di loro. Ci sono persone che sono state abbandonate dalle loro famiglie dopo aver commesso ripetutamente dei crimini. Non hanno un posto in cui stare», è un’altra testimonianza raccolta. Nel 2022, più dell’80% delle detenute anziane nel Paese era in carcere per furto. «Alcune donne – scrive la Cnn - lo fanno per sopravvivere: il 20% delle persone di età superiore ai 65 anni in Giappone vive in povertà, secondo l’Ocse, rispetto a una media del 14,2% nei 38 Paesi membri dell’organizzazione. Altre lo fanno perché hanno davvero poco per cui vivere fuori».
L’invecchiamento della popolazione carceraria è il riflesso di un fenomeno più ampio che coinvolge il Paese del Sol Levante. I numeri testimoniano lo “scivolamento” di Tokyo a un passo da quello che Newsweek ha definito “il baratro demografico”. La popolazione nipponica si è ridotta per 15 anni consecutivi, con le nascite che hanno raggiunto il minimo storico di 730mila lo scorso anno e i decessi il massimo di 1,58 milioni. La popolazione anziana ha raggiunto la quota record di 36,25 milioni di persone, con gli over 65 che rappresentano quasi un terzo dei giapponesi. E le proiezioni non sono certo incoraggianti. Si stima che il mercato del lavoro perderà otto milioni di lavoratori nei prossimi sei anni. In 20 anni, passerà da 67 a 52 milioni di persone.
Una parabola, peraltro, comune a molte economie asiatiche (e non solo). In Cina per il terzo anno consecutivo la popolazione si è “ristretta”. La Corea del Sud “combatte” con il tasso di natalità tra i più bassi al mondo, seconda solo a Taiwan. I problemi posti dalla “depressione” demografica sono vastissimi, intrecciati gli uni agli altri e finiscono per porre sotto stress la tenuta sociale dei Paesi che ne sono travolti: dal sistema pensionistico a quello sanitario e produttivo, le incognite sono enormi. Un problema che ha ormai un carattere “molecolare”, perché minaccia i singoli individui, costretti a fronteggiare un “nemico” che, a volte, può essere subdolo e insidioso: la solitudine. Come le anziane giapponesi che “scelgono” la prigione pur di non rimanere sole. Un dilemma che ci riguarda. E da vicino: l’Italia, tra i Paesi europei, è quello messo peggio. Qual è allora la ricetta – o meglio il mix di ricette – da mettere in campo per invertire la rotta? Su cosa bisogna scommettere per uscire dalla depressione demografica? La risposta “giusta”, per ora, latita. Ma proprio per questo è necessario continuare a porre la domanda. Con forza.