La Stampa, 21 gennaio 2025
Intervista a Paolo Conte
Procede per sottrazione Paolo Conte, il maestro, lo chansonnier (che la Francia ci invidia), l’aedo del Novecento. Centellina le parole, giocoliere geniale di sinestesie e silenzi. Ermetico, enigmatico, essenziale. Vietato chiedergli la parafrasi delle sue epigrafiche risposte: si romperebbe il ritmo. Legge gialli, dipinge, ma non compone, nella sua casa sulle colline astigiane, in questi «giorni d’inverno, quando fiorisce il calicantus nel mio giardino che basta avvicinarsi ad uno dei suoi fiori per salire su un tappeto volante». A 88 anni, compiuti il giorno dell’Epifania, sta a guardare e ascoltare – divertito, forse – come gli altri lo interpretano, cosa leggono tra le righe dei suoi testi, come linguisti e studiosi trasformano il suo “tinello marron”, la sua “Topolino amaranto”, il suo “gelato al limon”, persino i suoi “zazzarazàz” e i suoi “ci-boom, ci-boom” in espressioni del lessico quotidiano, poetici affreschi di un’Italia che non esiste più, congelata nel secolo breve.
Il maestro, che da sempre rifugge l’imperativo del “messaggio” tipico delle canzoni impegnate e che di se stesso ha detto «non ho mai la certezza di ciò che scrivo, e non voglio neanche mai averla. Lascio al pubblico tutta la libertà di immaginarsi la storia come meglio preferisce», sarà ospite, domani al Circolo dei lettori di Torino, di un pomeriggio-omaggio a partire dal volume Paolo Conte. Transiti letterari nella poesia per musica edito dall’Università di Urbino, con i contributi raccolti nel primo e più importante seminario in cui i maggiori studiosi e professori di linguistica e letteratura italiana hanno indagato Conte in quanto «poeta del nostro tempo», passandone al microscopio intrecci, giochi di luce e di parole, figure retoriche, espressioni, ironia, raffinata malinconia.
Maestro, per lei «è molto bello non essere completamente capiti», eppure questo studio accademico ha fatto di tutto per capirla, analizzando ogni suo testo: che effetto le fa?
«L’effetto “Mata Hari”».
Riconosce che la sua è «poesia nella musica» (dal titolo dello studio universitario) o sente i suoi testi più affini alla scrittura cinematografica?
«C’è una vicinanza: canzoni e cinema hanno in comune la necessità di una sceneggiatura rapida».
Stiamo sulle sue canzoni, e “giochiamoci”, dandogli un seguito: qual è oggi «la faccia triste dell’America»?
«Sempre il Messico, muro compreso».
Mettiamo che la “lei” di Via con me abbia realmente abbandonato i suoi «luoghi pieni di musica e di uomini che ti son piaciuti» per seguire “lui”: dove scappano insieme?
«Non lo so, in fondo non l’ho mai voluto sapere».
L’intelligenza degli elettricisti è diventata, oggi, l’intelligenza artificiale di Chat Gpt? E quel “lavavetri” (ispirato a «un tipo simpatico incontrato a un semaforo a Torino») è diventato “un rider”?
«No, il tempo non li ha trasformati, ma hanno mantenuto la loro identità “originaria”».
Max era Max, ma chi è Max?
«Mistero, il mistero».
Ha scritto una canzone, La negra, uscita nel 1987, in barba alla “cancel culture”: oggi la scriverebbe? Se la censurassero o edulcorassero (come talvolta accade) la infastidirebbe?
«L’aggettivo appartiene alla lingua italiana, a quella francese e spagnola con un significato solamente coloristico».
Ha detto: «Bartali è una canzone sulla distanza tra maschio e femmina: lei è scontrosa, le scappa la pipì, vuole andare al cinema; lui attende il campione godendosi il silenzio tra una moto e l’altra». Oggi c’è ancora questa distanza tra maschi e femmine?
«No».
La cito ancora, anni fa, intervistato, sosteneva che le donne non capissero il jazz: la pensa ancora così?
«Sì, ma adesso meno di prima. C’è finalmente più dialogo».
Il mare di Genova «scuro e indomito» fa ancora paura?
«Un po’, ma con simpatia».
La canzone che più ha faticato a scrivere, che le ha richiesto più studio, più tempo…
«Onda su Onda: ci sono voluti tre annidi lavoro. Mi sono servito della tecnica del flashback».
In passato ha confessato di sentire il futuro «incombere». La spaventa ancora?
«Sì».
Come si pone verso i giovani: condivide le loro battaglie? Ce l’ha un consiglio per loro? Una canzone che dovrebbero conoscere per diventare adulti…
«Le canzoni non sono mai servite a niente».
Vedrà Sanremo? Con quale stato d’animo?
«Critico e divertito».
Lei è solito – racconta – guardare un quadro e chiedersi che ora fosse nel momento ritratto, quello in cui il pittore l’ha dipinto. Noi ce lo chiediamo delle sue canzoni. Ad esempio, che ora è in Diavolo rosso?
«È la seconda metà del pomeriggio estivo».
Ce l’ha un sogno nel cassetto?
«Sì, vorrei fare ancora beneficenza».
Sta scrivendo canzoni? Prevede un “ultimo concerto”?
«In questo momento no».
Cosa dipinge ora?
«Astrazioni».
È vero che non ha mai cantato Bartali in Francia? Forse perché teme che i francesi si «incazzino» davvero? Che pensa di loro?
«Credo che lo spirito nazionalistico crei problemi al vero sport».
Cosa le piace dell’enigmistica?
«Il doppio senso, è qui l’enigma».
Esiste ancora l’ironia?
«Non ci sono più le barzellette».
Il romanzo che ha sul comodino…
«L’ultimo di Andrea Vitali (Il sistema Vivacchia, ndr)».