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 2025  gennaio 21 Martedì calendario

L’uomo che pianta le pietre d’inciampo

Ogni volta che chiami Gunter Demnig, risponde «sto guidando, richiamo appena parcheggio». E così, di chilometro in chilometro, di città in città, e poi di Paese in Paese – viaggiando 270 giorni l’anno – questo artista con il cappello da cowboy e una predilezione per le camicie di jeans, ha riempito di pietre d’inciampo i selciati e i marciapiedi d’Europa, arrivando ovunque siano passate la Wehrmacht e le SS tedesche fino all’ultima isola sperduta della Norvegia o ai confini dell’Ucraina, per ricordare e dare un nome a quegli ebrei – ma non solo a loro – che i nazisti hanno rastrellato e poi ucciso nei lager.
Arriva, scava e incastra un cubo di ottone per terra, davanti al portone dove gli ebrei conducevano le loro vite normali. Una pietra, un nome: «Qui viveva...». Perché, ha spiegato, «una persona viene dimenticata solo quando il suo nome viene dimenticato», come insegna il Talmud. Lui l’ha sentito dire da un rabbino di Bonn e non l’ha più scordato.
Quando accosta e richiama, racconta che si è dovuto prendere una piccola pausa, in realtà ha subito due importanti operazioni chirurgiche, ma che a 77 anni sta riprendendo a girare. «Oggi dovevo essere a Venezia, ma ancora non riesco a tenere questi ritmi». Eppure, il suo 2025 è già fully booked, pienamente prenotato: chi volesse ricordare i propri avi o vicini uccisi dai nazisti, prendere parte a questo progetto d’arte collettiva tra le più estese al mondo, dovrà aspettare il 2026.
Gunter Demnig ha sempre fatto tutto a mano. Da quando iniziò nel 1993 piantando il primo cubetto a Berlino, in modo illegale. «Se quello compiuto dai nazisti è uno sterminio su scala industriale – dice oggi – ogni pietra d’inciampo che ricorda le loro vittime è invece creata a mano: perché occorre prendersi cura delle persone una per una». Le pietre come piccole sculture. Nessuna forma è quindi uguale all’altra, sebbene ne siano state finora piantate 116 mila. L’ispiratore di Gunter Demnig – che si è laureato alla celebre Kunstakademie di Kassel – è «l’idea d’arte che aveva Joseph Beuys».
Dagli anni Novanta, Demnig ha due collaboratori: lo scultore Michael Friedrichs-Friedlaender, che modella ogni pietra in una vecchia fucina a Berlino, e l’incisore Andreas Ullmann, che ha intagliato tutti i 116 mila nomi con lo scalpello. «Ora si sono aggiunti dei collaboratori, siamo in totale in sei». Invece, a posare questi mini memoriali per terra, va sempre lui stesso. Il costo di ogni pietra è di 120 euro, «e anche se i costi energetici sono saliti del 60%, siamo riusciti a mantenere i prezzi invariati. Ci tengo».
Quello che c’è di speciale, racconta Gunter, è il rapporto che si crea con i familiari delle vittime, i lontani eredi: una gigantesca rete che ha intessuto in 30 anni, di persone che condividono un gesto d’amore per i propri cari, senza conoscersi l’un l’altra. L’azione non parte mai da Gunter, lui viene semplicemente cercato. Chi vuole piantare lo «Stolperstein», come si dice in tedesco, lo contatta con la documentazione. «Poi i nostri storici verificano le carte, e se è tutto a posto procediamo».
Il ricordo più bello? «È stato a Rotenburg sulla Fulda, vicino a Brema. Ci siamo ritrovati davanti a questa casa, con sei pietre: due dedicate ai genitori uccisi ad Auschwitz, due alle figlie che i genitori hanno mandato in Inghilterra con il Kindertransport per salvarle, e due ai servitori nella famiglia, pure uccisi. Eravamo lì, e compaiono le due figlie, sessant’anni dopo: una arrivava dalla Scozia, l’altra dalla Colombia, erano entrambe vive e per 60 anni non si sono mai incontrate! Si sono abbracciate e si sono dette: ora siamo finalmente riunite con i nostri genitori. Se non ti dà forza per andare avanti una cosa così, allora cosa ti resta?». Eppure, Gunter ha trovato anche opposizione.
«Soprattutto all’inizio, ora però sempre meno. Circa 900 pietre sono state divelte, ma le abbiamo sempre sostituite. E sa che c’è? Che ora il posto da cui le chiedono di più è la Turingia, la terra dove è più forte l’Afd, l’estrema destra tedesca». Continuerà ad andare in giro? «Sì, per i ragazzi. Perché hanno curiosità e perché sappiano cosa è successo».