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 2025  gennaio 21 Martedì calendario

In prigione i palestinesi sono divisi in fazioni

«Vedere questi rilasci è difficile. Si paga un prezzo alto. I terroristi che vengono liberati in base all’accordo su Gaza hanno ucciso centinaia di israeliani. Adesso i miei pensieri vanno non soltanto agli assassinati. Ci sono figli, genitori, mogli, mariti che di quelle persone diventate vittime all’improvviso sentono la mancanza», dice Yuval Biton, 57 anni, il medico in servizio nelle carceri israeliane che curò mentre era detenuto Yahya Sinwar, il futuro capo di Hamas. Nel 2011 quell’integralista islamico che il 7 ottobre 2023 sarebbe entrato nella storia come la sanguinaria mente del più grande massacro di ebrei dopo la Shoah aveva beneficiato proprio di uno scambio con un ostaggio. Era uno dei 1.027 detenuti palestinesi scarcerati da Israele in cambio di Gilad Shalit, soldato israeliano sequestrato da Hamas.
Poco più di tre mesi fa Yahya Sinwar è stato ucciso a Gaza dalle forze israeliane. Suo fratello minore Mohammed sembra in ascesa nelle gerarchie della formazione terroristica. Biton è stato comandante della Israel Prison Service Intelligence Division, il servizio di informazione e sicurezza nelle carceri dello Stato ebraico. Attualmente il medico è in Italia su invito della Jerusalem Foundation e in questa intervista spiega chi sono alcuni dei palestinesi che Israele ha accettato di rilasciare, salvo imprevisti, in cambio degli ostaggi israeliani catturati 471 giorni fa.
Sulla stampa internazionale risalta Zakaria Zubeidi, ex comandante delle «Brigate dei martiri di al Aqsa» legate ad al Fatah, la componente maggioritaria dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Lo conosce?
«Certo. Stava dietro gli assalti nella zona di Jenin. È uno che vuole sempre apparire sui media. Era un leader di Jenin e in prigione non contava niente. A sorprenderci di lui fu che mentre organizzava attentati era un ufficiale di polizia dell’Autorità nazionale palestinese».
Quali altri dei detenuti che ha conosciuto meritano a suo avviso attenzione?
«Wael Qassim, di Hamas, e Mohamed Odeh, Wissan Abbasi, Allah Abbasi. Il loro gruppo si chiamava Silwan, nome della zona di Gerusalemme dalla quale vengono. Il primo ha messo una bomba nella caffetteria “Frank Sinatra” dell’Università ebraica di Gerusalemme dove lavorava e allo Sheffield Club di Rishon. Ha ucciso 35 persone, è stato condannato a 35 ergastoli».
Altri ergastolani in uscita dei quali ha ricordo?
«Muhammed Naife, colpevole di uno degli attacchi più spietati. Era un capo di al Fatah di Tulkarem. Nel 2002 mandò un assassino, Sirhan Sirhan, a sterminare israeliani nel kibbutz Metzer. Ammazzò anche una mamma con i suoi due bambini. Fu molto difficile, per noi che lavoravamo per lo Stato, guardare le foto di quei corpi scattate per le indagini e da non pubblicare. Le crudeltà sono state tante».
A chi pensa in particolare?
«Per esempio, a Mohammed Abu Warda, 48 ergastoli, mandante di attentatori suicidi. Nel 1996 alla stazione di un autobus della linea Ashkelon-Gerusalemme, quattro morti, e un mese dopo a quella di Gerusalemme. Altri 44 morti. Fu dopo che Israele aveva eliminato con un telefono cellulare esplosivo Yahya Ayyash, detto “Ingegnere”, che confezionava le bombe per i terroristi suicidi».
Non rientra nell’elenco di quanti verranno liberati Marwan Bargouthi, altro ergastolano per omicidi. Alcuni lo vorrebbero leader dell’Autorità palestinese.
«C’è invece il suo ex braccio destro, che conosco, Ahmed Barghouti, suo parente. Ufficiale operativo di al Fatah a Ramallah, è condannato per l’attentato che fece morti e oltre 30 feriti al ristorante Seafood Market di Rishon. Fu con lui che dovetti trattare per far finire uno sciopero della fame di 500 detenuti palestinesi di al Fatah, per lo più di Ramallah, sui 3.500 di questa componente dell’Olp».
Che cosa volevano?
«Che Marwan Barghouti venisse eletto al posto di Abu Mazen alla guida dell’Autorità palestinese. Lo sciopero durò 42 giorni. Gli altri tremila detenuti non aderivano perché a differenza degli altri non erano a favore di Barghouti, avevano meno a che fare con Ramallah. Le fazioni palestinesi in carcere sono divise per gruppi e a seconda delle località, i capi locali comandano sui loro compaesani. Gli altri sentivano che lo sciopero non riguardava le condizioni di detenzione. Era una questione di propaganda in una contesa dentro al Fatah».