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 2025  gennaio 21 Martedì calendario

La cerimonia di insediamento vista da Soncini

Ci voleva l’insediamento di Trump – la seconda cerimonia di insediamento di Trump – per farmi interessare al bon ton, io che più cafone di me non ne esistono, io che della mia infanzia rimpiango soprattutto quei ristoranti senza pretese sulle cui tavole c’erano gli stuzzicadenti, prima che cominciassimo tutti a darci un tono.
Ho capito che era un problema di buone maniere quando ho visto J.D. Vance e Kamala Harris uscire dalla residenza del vicepresidente per arrivare alla cerimonia, ma alla scena che mi ha fatto capire quale fosse il tema del giorno arriviamo dopo, perché prima devo parlare di soldi.
Il potere ha evidentemente standard meno severi di quelli della ricchezza, come si nota dal fatto che la moglie di Vance neppure si copre i capelli bianchi (che invidia, che carattere non sottoporsi a quella tortura che è la tinta) e invece Jeff Bezos ha una vestita da Ilona Staller in parlamento per quasi moglie (stanno per sposarsi, pare in Italia, lui ha smentito che il costo delle celebrazioni sarà di cinquecento milioni di dollari, so che ci tenevate a saperlo).
Certo che Trump ha una moglie che è Barbie Cortina di Ferro e si farebbe dissanguare piuttosto che farsi vedere coi capelli bianchi (André Leon Talley, che la accompagnò a Parigi a provare il Dior di Galliano con cui sposò Donald e con cui venne fotografata per la copertina di Vogue vent’anni fa, raccontava che fosse l’unica donna che avesse mai visto camminare senza sforzo per ore in tacchi da dodici centimetri). Ma il Donald è un uomo di potere nella sua seconda vita, nella prima è un uomo ricco. (Sì, va bene: ereditati, indebitato – avete delle bislacche definizioni di “ricco”, se pensate che avere più debiti che proprietà renda povero un ricco).
Ieri, aprendo la diretta della cerimonia fatta dal New York Times, ho pensato che era da quando tutti si dicevano certi che Fedez si sarebbe candidato alle elezioni che non vedevo giornalisti che così poco capivano il mondo. Trasecolavano perché c’era un problema di numero di posti, molti invitati avevano dovuto venire esclusi dalla cerimonia che per il freddo si teneva al chiuso, e poi Mark Zuckerberg e Jeff Bezos si erano portati le mogli. Perbacco, i fantastiliardari padroni dell’universo fanno un po’ come gli pare. Chi l’avrebbe mai detto. E pensate se i tizi dell’internet non fossero ormai gli unici straricchi le cui facce sono note ai giornalisti, pensate se aveste notato quanti componenti della famiglia Arnault avevano i posti a sedere più ambìti del mese.
Al cui proposito, e in tema di dinamiche fantastiliardarie: fanno più paura i padroni del mondo che fanno quel che secondo il Romolo Catenacci di C’eravamo tanto amati facevano i poveri – farsi compagnia, stare tutti assieme – o il master of the universe che non si mescola agli altri? Insomma, il gruppetto Zuckerberg, Bezos, Musk, Robert Kennedy che sbircia nel balconcino della quasi signora Bezos – o Tim Cook che si piazza solingo dalla parte opposta?
Se ci pensate, è affare di bon ton anche il dramma dei giornalisti italiani rispetto a Michelle Obama. La quale somiglia così poco al ritratto che ne fanno da otto anni, sempre pronta a candidarsi a ogni giro elettorale, che neanche ha intenzione di mettere su quel minimo di facciata istituzionale necessaria a presenziare alle occasioni dove la si nota di più se non va: il funerale di Carter, l’insediamento di Trump. Ma, quando non va, qui mica si può scrivere che non glien’è mai fregato niente della politica, che influencer è e da influencer va solo dove c’è da fatturare. No, dobbiamo dire che si sta separando dal marito.
Ora, non sappiamo niente delle vite degli altri (neanche delle nostre, in genere) e quindi magari domani gli Obama mi sorprendono con una separazione, ma ecco: attualmente, se dovessi dire una ragione plausibile per l’assenza di Michelle Obama dalla cerimonia, punterei il mio soldino su minor tenuta su strada, minor democristianità, minor saper stare al mondo di Hillary Clinton. («Hillary Clinton capisce quel che rappresenta per la nazione», dice il commentatore della Cnn sulle immagini di lei che arriva alla cerimonia; Hillary Clinton è un’adulta, tradurrei io, aggiungendo che ce ne son rimaste poche).
Poi certo, ci sarebbe da parlare dei contenuti: di Trump che dice «we will drill, baby, drill», che un po’ fa ritornello di canzonetta un po’ titolo di porno; dei dazi che dovrebbero far optare per i prodotti americani e vale per tutto tranne che per TikTok, un po’ come quando si dice che gli italiani farebbero la rivoluzione solo se gli levassero Dazn; del senso dei concetti di “sinistra” e “destra” se è di destra dire che i mammiferi si dividono in maschi e femmine. Ma magari un’altra volta, perché oggi c’è la macchina su cui salgono Kamala e J.D. – mica ve ne sarete già dimenticati.
La macchina li aspetta lì davanti, escono accompagnati da una signora in verde che poi scopro chiamarsi Deb Fischer – tenete a mente il nome, a breve torniamo da lei. La Fischer fa il giro e sale dall’altra parte, la Harris sale dalla portiera dal lato della residenza e delle telecamere, e Vance resta lì in piedi, come gli uomini senza uso di mondo quando fanno salire una signora in macchina e poi restano lì come degli imbecilli aspettandosi che quella faccia l’indecorosa mossa di strisciare lungo il sedile per farli salire senza che facciano il giro.
Per me, più impresentabili degli uomini che restano lì aspettandosi io strisci sul sedile, solo quelli che al ristorante si siedono spalle al muro senza chiedermi se quel posto lo voglia io. Non mi interessa se anche un uomo può temere di venire accoltellato da un ristoratore: le mie paranoie valgono più di quelle maschili; funziona così tra mammiferi: che se sei uomo peggio per te e per le tue paranoie.
Penso che Vance sia il più cafone del mondo, ma poi cerco di capire chi sia la tizia in verde. Deb Fischer, senatrice del Nebraska da dodici anni, ha giurato due settimane fa per la nuova legislatura. La Bibbia la reggeva suo marito, Kamala Harris l’ha fatta giurare, e a fine giuramento ha fatto per dare la mano al marito della senatrice, ma quello si è ben guardato dallo stringergliela. È, naturalmente, seguita polemica (esiste qualcosa su cui non si polemizzi per giorni, per occupare il tempo liberatoci dal non dover più lavare i panni al fiume? Certo che no).
Naturalmente, come tutte le polemiche, le interpretazioni parimenti imbecilli dipendono dallo schieramento e non dal gesto. Per la destra, Kamala è una stronza ad avergli allungato la mano: con la destra teneva il bastone con cui camminava, come avrebbe fatto a dargliela (poteva dargli la sinistra, che un attimo dopo si è messo in tasca). Per la sinistra, il signor Fischer è evidentemente misogino e razzista (mica una può starti sulle scatole per le ragioni per cui ci stanno sulle scatole gli altri esseri umani, che in genere non attengono né al colore della loro pelle né al contenuto delle loro mutande).
L’ultima cafonaggine transpartitica e di larghe intese è quella di chi si autoscatta, molti sconosciuti nella lunghe pause tra gli arrivi e l’inizio della cerimonia. I più accorti e consapevoli d’essere ripresi (Barack Obama, ma persino Elon Musk) guardano in aria piuttosto che avere l’aria da pirla che si ha sempre quando si viene immortalati nell’atto d’autoscattarsi. Ma c’è un pieno di a me sconosciuti che s’autoscattano con voluttà. O fotografano il soffitto della sala che, avendo duecento anni, a loro sembrerà la Cappella Sistina. Che fortuna: anche oggi, mentre quei barbari governano il mondo e patrimoni di fantastiliardi, noi possiamo bearci di millenni di architettura e manuali di buone maniere.