la Repubblica, 20 gennaio 2025
Intervista a Fanny Ardant
Roma – Fanny Ardant è una voce roca e che arriva da Parigi. Mentre racconta, la voce si colora di malinconia oppure scoppia in una risata sfacciata, da ragazza. La diva francese, 75 anni, è Proserpina nel film The Opera! Arie per un’eclissi di Davide Livermore e Paolo Gep Cucco, omaggio alle più belle arie liriche (in sala da domani e fino al 22 gennaio).«È stato come entrare in un mondo grandioso e magico. Bello affidarsi al grande mito di Orfeo, compiere questo grande viaggio immaginario».
L’opera le ha cambiato la vita.
«Sì. Una sera, con mio fratello, alla Salle Garnier di Monaco, con i biglietti dei miei genitori vedemmo La Traviata. Avevo quindici anni. Restai ipnotizzata dall’eroina appassionata d’amore, che per me è sempre tragico. Quella sera ho capito quale era il mio posto».
Come governò quell’istinto?
«Cantavo. Dividevo la camera con mia sorella e, ogni volta che leggevo qualcosa di bello, le dicevo: “Ascolta!” Per me, tutto ciò che è bello deve essere condiviso con il resto del mondo. Sul palco si condivide l’amore per il bello».
In The Opera! è Proserpina.
«Sì, è la padrona dell’inferno, una donna complessa, sofisticata che prende tutto alla leggera. Del resto, cos’è l’inferno? Forse il rimpianto, forse una nuova vita…».
Lei ci crede, all’inferno?
«Credo che il bene e il male che facciamo ci tornino indietro, magari non in un’altra vita, ma in questa stessa. Ma ho sempre pensato che ci sia qualcosa, al di là di noi».
È stata Callas per Zeffirelli.
«Esperienza magnifica, ho vissuto tre mesi con Franco».
Ha visto Maria di Pablo Larraín con Angelina Jolie?
«No. Ho sempre paura quando si fa un film sul cliché della povera donna arrivata dal nulla, che incontra Onassis e sfiorisce. È la verità dei giornali, non dell’artista. Il vero omaggio a Callas è raccontare la sua ricerca della perfezione, di assoluto».
Con quali cliché raccontano lei?
«Non mi riconosco in nessuna definizione. Sono contraddittoria, politicamente non perfetta e neanche una brava cittadina».
Le piace fare scherzi.
Una volta si spacciò per la figlia Sergej Ejzenštejn...
«Andò così. Un giornalista mi chiedeva per l’ennesima volta del mestiere che faceva mio padre. Così risposi che era il regista de La corazzata Potëmkin, e che io ero la neonata che ruzzolava dentro la carrozzina dalla scalinata. E lui l’ha scritto. Avevo aggiunto anche che mia madre si lamentava con mio padre: “No, fai uscire la bambina dalla carrozzina, che si fa male!”».
Ha studiato scienze politiche, poi, quasi con rimpianto, ha seguito l’amore e il teatro. L’amore tradisce meno della politica?
«È così. La mia era una generazione politicizzata: si litigava, ma c’era confronto. Quelle successive si sono affidate a governi corrotti. La politica è diventata una questione di potere, di soldi, di corruzione dell’anima. I grandi cambiamenti sono stati fatti da uomini che hanno creduto, anche sbagliando. Ora non c’è più fede».
Per amore si pagano dei prezzi.
«Paghi un prezzo, ma resti vincitore, hai vissuto qualcosa di vero. In amore non importa vincere, ma vivere».
Tra i suoi amori il cinema italiano.
«Dietro gli attori italiani immaginavo un mondo. Marcello Mastroianni con la sua dolcezza era un principe, e allo stesso tempo poteva fare un traditore, ma lo amavi lo stesso per la sua umanità, la contraddittorietà che fa parte della vita».
Un ricordo con Marcello Mastroianni?
«Sotto la mia aria forte, sono timida. Ero intimidita dalla sua cortesia, il suo spirito. Ricordo un Capodanno a Parigi. Il cameriere inciampò e il piatto pieno finì nella mia scollatura.Io impassibile, Marcello: “Ma tu sei umana?” Poco dopo lui si bruciò la lingua assaggiando un piatto. Ridemmo molto quella sera. E gli piaceva raccontare barzellette. Quando girava Oci ciornie in Russia io ed Ettore Scola eravamo a Fregene, lui ci chiamava per raccontarcene. Ogni tanto la linea cadeva prima del finale e noi “e poi?”, ma ci richiamava sempre per l’ultima battuta».
Chi altri la faceva ridere?
«Vittorio Gassman. Sotto l’aria severa e il falso malumore, c’era un amico con cui parlare di tutto. Era fragile e potente. Mi sentivo protetta sul set, come con Gérard Depardieu, con loro ti affidi e sai che puoi fare tutto».
La signora della porta accanto ha colpito al cuore una generazione.
«Era la prima volta che recitavo in un film con un grande regista. Una delle prime scene è quando mio marito dice: “Ti presento il vicino.” E il modo in cui Gérard mi ha dato la mano… Ho capito che avrei ballato, senza più timidezza, lasciandomi andare».
Per La signora della porta accanto ci fu un tour americano, lei e Truffaut alloggiavate al Beverly Hilton di Los Angeles.
«Fu un periodo incredibile. Ero felice e scoprivo cose nuove. Ero fortemente anti-americana. Pensavo che fosse il diavolo, mentre François era il contrario: vedeva l’America come la possibilità di tutto. Quando siamo arrivati per presentare il film e ho visto che François veniva accolto come una rockstar, quanto amassero il cinema francese in modo folle, ho cambiato idea. Ho scoperto una sensibilità europea nel raccontare le storie umane, non solo i kolossal».
In questi giorni Los Angeles è straziata dai roghi.
«In tutto il mondo si vivono tragedie dolorosissime. Questa cosa è drammatica, ma non peggiore di quanto accade in India, Africa, America del Sud o Giappone. Ci colpisce di più perché, per noi, quella è una terra dei sogni. Sono catastrofi impreviste che ti fanno pensare ancora di più che le cose materiali non sono importanti: conta quello che porti dentro di te. Non te le possono rubare».
A cosa lavora?«Sono in partenza per le Azzorre, faccio i sopralluoghi per il mio nuovo, piccolo film da regista. Sul tema della memoria, sul rapporto tra la giustizia e il perdono. Molto contemporaneo. Ho sempre creduto che il perdono sia più forte della giustizia.»
Un tema grande, per un piccolo film.
«Ho sempre questo difetto di buttarmi… Vedremo. Ho scoperto una piccola frase di Pasolini che adoro: “Bisogna bruciare per arrivare consumati agli ultimi fuochi”. Quando si usa la parola bruciare, non bisogna pensare alla distruzione, ma all’aver vissuto al cento per cento».
Di materiale ardente, nella sua vita, ce n’è stato molto.
«Oui».