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 2025  gennaio 20 Lunedì calendario

Il successo di Don Matteo, che ha 25 anni

Era il gennaio del 2000 quando un biondo signore dagli occhi azzurri, camminava sorridendo per le vie di Spoleto. In testa un basco e sulle spalle un grosso zaino che pareva più un sacco. Si presentava così un personaggio destinato a entrare nelle case e nei cuori di molti ma, soprattutto, nell’immaginario collettivo perché anche chi non ha mai visto una puntata sa chi è Don Matteo.
La serie di Rai1 prodotta da Lux Vide ha compiuto 25 anni e per 13 delle 14 stagioni ha avuto per protagonista Terence Hill. Solo nell’ultima ha lasciato il testimone a Raoul Bova, che qui diventa don Massimo: poteva essere un rischio, invece gli ascolti – quello medio complessivo è di 6,7 milioni di telespettatori, pari al 27% di share – hanno confermato che Don Matteo è ancora un successo. «Ma questa parola a me non piace. Anzi, mi dà fastidio», spiega Terence Hill, a cui si deve gran parte di questo risultato.
«Di certo se prima, per strada, c’era chi mi chiamava Trinità, poi qualcuno ha iniziato a chiamarmi don Matteo». Eppure, tra il pistolero più veloce del west, la mano destra del diavolo, e il prete un po’ detective, braccio destro dei carabinieri della cittadina umbra, c’è più di una analogia: «Volevo che il mio fosse un don molto attivo – spiega Hill, che oggi ha 85 anni —. Per questo, al posto del cavallo, ho pensato a un mezzo che mi accompagnasse con cui il corpo continuasse ad essere atletico». La bici è diventata un simbolo di Don Matteo, serie esportata in 15 Paesi e di cui esistono numerose versioni straniere (il remake polacco ha superato per numero di edizioni anche quelle italiane: è alla 22esima stagione).
Dopo tanti anni, la serie ha lasciato all’attore «molte amicizie. Sono credente, recitavo calandomi veramente in quello che succedeva. Però, dopo anni, sentivo che era tempo di cambiare e lasciare don Matteo prima che la gente si stufasse di lui». Oggi le manca? «No, sono contento di averlo fatto ma non mi manca. Poi ho visto le puntate con Raoul e credo abbia lavorato molto bene, costruendo un personaggio diverso». Era una eredità non semplice, Bova l’ha raccolta con l’intenzione di non cancellare il passato: «Sostituire un attore così amato, che ha fatto compagnia a tante generazioni, non era facile e non sarei mai stato all’altezza di subentrargli. Proprio Terence mi suggerì di portare avanti la mia storia. Per questo è nato don Massimo, per non cancellare don Matteo, la sua traccia che deve rimanere».
Non solo, Bova spera anche in un miracolo: «Mi piacerebbe molto che Terence potesse rientrare, anche per qualche puntata. Il mio don Massimo è un uomo che ha ancora bisogno di imparare». Del resto, spiega, «un po’ tutti abbiamo bisogno di don Matteo. La gente vuole figure rassicuranti e sincere, specie in periodi di incertezza come questo». E sincero, è anche il suo rapporto con la fede: «L’ho sempre cercata e la metto spesso in dubbio, per potermi fare domande. La mia natura è protesa verso l’aiuto di chi è in difficoltà ed è così che immagino anche il mio prete: mi piace la preghiera ma preferisco chi fa del bene tra la gente».
Ottima attitudine per arrivare allo stesso numero di stagioni del suo predecessore? «Chissà», chiosa Bova. Chi, oltre a lui, sarebbe felice di una reunion è Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide: «Ma conosco Terence, non succederà. Da anni faceva capire di voler lasciare il ruolo e ogni volta facevamo orecchie da mercante. A un finale di stagione, proprio per il timore potesse non fare la successiva, lo avevamo fatto volare via in elicottero».
Il produttore sa che Hill ha dato molto a Don Matteo: «Pensare che, inizialmente, avevamo pensato a Lino Banfi... Non ci sembrava vero avere un mito del cinema: non ha mai voluto una controfigura, in nessuna delle scene d’azione. Ogni volta che andava con la bici giù per le scale stavamo con il fiato in gola».
Inizialmente nessuno pensava che la serie sarebbe stata tanto longeva: «Mio padre Ettore, che in Rai aveva portato Padre Brown, mi ha insegnato che la gente va mandata a letto serena. Noi parliamo di due grandi istituzioni: la giustizia unita alla misericordia divina. Non ci si assicura solo di trovare i colpevoli ma si guarda alla loro redenzione».
Ingredienti semplici per una serie che «non è mai cambiata ma si è evoluta, per cui ringrazio gli sceneggiatori Mario Ruggeri e Umberto Gnoli. Dopo 25 anni facciamo ancora il 25% di share». Una garanzia per la Rai, conferma Maria Pia Ammirati di Rai Fiction: «Una vita televisiva di 25 anni e 15 stagioni è un fenomeno che impressiona. Nessuno più di Don Matteo incarna un’idea equilibrata della vita, fatta di accoglienza, solidarietà, comprensione, responsabilità e perdono».