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 2025  gennaio 20 Lunedì calendario

Su Roma come città

Una capitale per l’Italia di Ernesto Galli della Loggia mi spinge a fare i conti con la Roma fascista, anche perché vi sono nato e perché per una generazione ne ho scavato il ventre. Vivevo sul Quirinale avendo un nonno vinto dal fascismo con un poliziotto in cortile a controllarlo – Luigi Albertini – e un padre con una corda per scappare da una finestra – Nicolò Carandini. Di fuori, una folla plaudente e avversa, salvo tra le rovine del Foro e dell’Appia dove passeggiavamo. La prima città che ho integralmente amato è stata Londra, dove tra collegio e ambasciata d’Italia ho passato il 1946. Il male era da una parte e il bene dall’altra. È quindi il caso che io vada, seppur vecchio, alla scuola di un maestro di storia contemporanea, per intendere il mondo che da bambino mi attorniava.
So distinguere la dittatura fascista – peculiare per la presenza di un re e per il pasticcio ideologico ignoto al nazismo – da quanto l’ha preceduta, attraversata e seguita, come il culto per Roma antica. Non credo alla definizione di «eterno fascismo» di Eco. È questione piuttosto di un passatismo di lungo periodo, infine nemico e complice del modernismo, che chiamerei «conservatorismo tradizionalista». Con Marinetti futurista conviveva l’archeologo Boni – primo stratigrafo —, celebrante riti pagani... Strana sacralità originaria unita allo sfasciare del moderno. A Roma il monte Velia, secondo per importanza dopo il Palatium, è stato distrutto dalla Sacra via di Nerone e poi dalla via dell’Impero di Mussolini (un altro andare avanti e indietro). Ci ha salvato la passione del regime per il nebuloso che ha impedito un’arte di Stato. La fine della libertà politica aveva impedito alla minima élite antifascista di apprezzare lo stile, l’atmosfera e la modernità interpretata dalla dittatura (nella casa del nonno nessuna avanguardia).
Ci si potrebbe domandare tuttavia come si sarebbe svolto il secondo quarto del Novecento senza il fascismo: forse in maniera analoga ma con più avvedutezza. Ci sono stati sventramenti anche nella Roma liberale, ma più agevolmente si sono integrati al rimanente tessuto, mentre le distruzioni mussoliniane nemmeno oggi hanno perso l’aspetto di cicatrici, perché il cesarismo vi ha prevalso sull’interesse generale.
Allora non si sapeva che Roma antica è stata abitata nella sua rovina fino al 1100 d.C., separata dalla successiva – la nostra – da un riempimento accumulato di proposito nella prima metà del XII secolo. La prima era nata su una logica risalente all’VIII secolo a.C., che ha comportato un labirinto di isolati e stradine: l’opposto di una città a scacchiera. Hanno cercato di drizzarlo: Augusto ma oltre il centro nel Campo Marzio, Nerone nel centro bruciato nel 64 (dove ha eretto un vasto quartiere regio come ad Alessandria) e Mussolini che da Palazzo Venezia voleva vedere il Colosseo, capriccio incongruo perché il monte Velia (già villaggio dei pre-urbani Velienses) s’interponeva, perché l’anfiteatrale macelleria per divertire il volgo era una struttura da periferia e perché il traffico non richiedeva l’enorme via, come infine si è potuto constatare.
La conseguente distruzione è stata colossale perché ai lati bisognava «mettere in luce» i fori imperiali (dei vuoti) e in mezzo «dare vita» a un viale per parate (un troppo pieno). Una distruzione destinata ad apparire – anche per i tagli al monte – una cattiva idea se non un crimine. Diversamente aveva agito Haussmann, che non aveva sotto i piedi due Rome millenarie a contrasto, e che ha trasformato Parigi nella capitale sincronica della borghesia trionfante (per capire come era la citta nel Settecento bisogna conoscere Versailles capoluogo). Il disordine di Roma poteva essere modernizzato con maggiore conformità e minori sfondi onde evitare le borgate ai poveracci; o si poteva anche erigere la nuova capitale non in centro.
Gli sterri dovuti agli sventramenti hanno distrutto l’archivio i cui faldoni sono muri, pavimenti e strati. L’inverosimile ritardo stratigrafico dell’Italia rispetto al resto d’Europa è imputabile al fascismo: morto Boni nel 1925, è seguito oltre mezzo secolo di sterri. Anche oggi abbiamo norme per il restauro e non per lo scavo; ma al riguardo si è diffusa una coscienza. Roma fascista è stata considerata come un’antologia di monumenti – per farli giganteggiare da soli – scordando ogni contesto costituito da relazioni tra cose grandi e piccole, oggetto della moderna archeologia. Anche gli scavi pre-fascisti al Foro romano e al Palatino hanno comportato distruzioni, ma nel primo quarto del secolo Boni ha inventato il più bel paesaggio archeologico del mondo.
I risultati
Positivi solo il restauro dell’Ara Pacis, il plastico
di Gismondi, l’architettura dei servizi sociali
Tra l’esaltazione feticistica dei monumenti e i colossali sterri sono state attuate due ottime opere: il restauro ricostruttivo dell’Ara Pacis e il plastico della Roma tardo-antica di Italo Gismondi privo di successori. Infatti la liberal-democrazia si è astenuta da ogni contatto con la romanità e si è votata a un privato modesto e triste. Nessun museo per raccontare la città! Il fascismo ha avuto conseguenze reattive durate 80 anni e così, al posto della magniloquente e volgare grandezza si è avuto un pervadente squallore in libertà.
Della prospettiva anti-contestuale del fascismo si è giovata l’architettura riguardante i servizi sociali grazie anche alla mancanza, fino alla metà degli anni Trenta, di una estetica politica. In questo settore e tempo il regime ha fatto cose buone, che da vecchio sono giunto ad apprezzare. Nerone si era definito morendo artifex e magari lo stesso ha pensato Mussolini: smaniosi entrambi di realizzare.
Il finale è stato inglorioso. Si è distrutta l’affascinante sala da concerto che coronava il mausoleo di Augusto per mettere in luce un dente cariato, retoricamente associato all’Ara Pacis e alle Res gestae, il tutto entro edifici classicheggianti alla Ojetti: il peggio. E si sono squarciati i Borghi, per avere via della Conciliazione, traccia legata vergognosamente a Bernini. Per non dire degli sterri di Ostia antica, che hanno stupefatto Russell Meiggs (Roman Ostia, 1960), al quale Romanelli ha avuto il coraggio di rispondere che in quel sito non vi erano strati... Il vantaggio è stato quello di una rapida, seconda e scorticata Pompei. In un tale contesto ho cominciato nel 1967 a scavare un immondezzaio del III secolo d.C. – rovescio della grandezza —, scoprendo il mercato mondiale di allora.
I papi hanno agito bene a Roma. Non doveva capitarle di diventare capitale d’Italia, data la cultura monumentalistica ed estetizzate del nostro Novecento. Il fatto che nessuno dei progetti della età liberale sia stato realizzato rivela che la politica con dubbi è più avveduta di una politica incentrata sulla volontà di potenza.
La modernità nelle città europee si è basata non sul monumentalismo bensì sull’urbanistica – scienza dei contesti urbani —, che in Italia mai ha raggiunto il primato, come conferma la tragica situazione della pianificazione paesaggistica: siamo artisti a cui non piace programmare. Il passato pre-capitalistico è stato modernizzato per una massa piccola e medio borghese di burocrati e professionisti per nulla imprenditoriale: il generetto e il generone ignoravano l’industrialismo, come la Chiesa.