il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2025
Il direttore del Tg1 scrive a Padellaro
«Vogliamo parlare del fatto che se non metto un sonoro quel partito fa partire una raffica, una batteria contro il tuo telegiornale? Chi decide i sommari: la politica o i giornalisti?».
GIANMARCO CHIOCCI, DIRETTORE DEL TG1
Parleremo tra un attimo di ciò che è stato denunciato all’assemblea dell’usigrai (sindacato di sinistra dell’informazione Rai) dove i giornalisti del cosiddetto Servizio pubblico hanno detto ciò che tutti sappiamo. Che “in Rai il giornalismo è precotto, offeso da parlamentari mediocri, con la complicità collettiva dei giornalisti, delle direzioni” (Carmelo Caruso sul “Foglio”). Prima, però, lasciateci chiosare la testimonianza di Chiocci, nella convinzione che nel trattare i suddetti giornalisti da servi della gleba i valvassini partitici pretendono il sonoro in quanto televisivamente inseparabile dalle loro facce. Visto che le quattro banalità balbettate negli indigeribili pastoni non le ascoltano neppure i familiari più stretti, essi sommamente anelano alle immagini di repertorio. Poco importa se scadenti o del secolo scorso purché in linea con il “personaggio” che si pretende di propinare al disgraziato teleutente. Una modellistica nella quale eccelle Lucio Malan, presidente dei senatori di Fratelli d’italia. Un biondo misirizzi mandato in onda mentre è impegnato in un costante e celere andirivieni pedestre, da dove e verso dove resta un mistero. Un trottolino operoso che procede dritto nel crocchio stanziale di microfoni e telecamere (a volte gradisce sbucare da una via laterale) con fare spensierato del tipo: ma tu guarda, anche voi qui? Con la solennità, comunque, di chi si sottopone al rito della dichiarazione come un servigio reso alla Patria. Tanto che se i direttori tg non fossero dei lamentosi renitenti darebbero come sottofondo musicale al Malan in marcia l’inno dei sommergibilisti (“rapido ed infallibile, diritto e sicuro batte il siluro”). Di Antonio Tajani in visione tg è ormai leggendario l’annacarsi, voce dialettale calabro-sicula che prevede il massimo del movimento col minimo di spostamento. Pur se coinvolto nelle crisi internazionali più aspre, il ministro degli Esteri cammina, anzi si annaca, con un movimento ondulatorio mentre parlotta e condivide con dei sodali annuenti l’arte sublime di affrettarsi e tergiversare allo stesso tempo. Vediamo poi una serie di leader, dal passo rapido e orecchio al cellulare, ma con sfumature diverse. Dalla Schlein che chiaramente finge di parlare con l’infinito per svicolare le domande dei cronisti. Alla postura “faso tutto mi” del mitico Salvini impegnato, si direbbe, a ottimizzare i ritardi delle ferrovie. Premono due domande. Una del “Foglio”: quanti di questi giornalisti portamicrofoni che tanto soffrono “sono stati segnalati dal capobastone, dal ministro, che oggi li tratta da maggiordomi?”. E cosa aspettano quei capi e capetti, che nella suddetta assemblea hanno versato calde lacrime di mortificazione, a dimettersi?