la Repubblica, 19 gennaio 2025
Intervista a Gianni Amelio
Roma – Gli occhi allungati di Gianni Amelio sono più ridenti che mai. Un caffè per scaldarsi nel bar sotto casa, zona Prati, un pomeriggio a mettere insieme ottant’anni di vita e sessanta di cinema, che compie domani.Il primo ricordo di se stesso?«Quello di un bambino che va al cinema tenuto per mano dalla nonna. Che diventa una sequenza diIl primo uomo. Il primo film Gilda, la volta dopo un film di pirati e io: “Ma quando torna la signora Gilda?”».I rapporti con la famiglia?«Sono stato cresciuto da due nonne: una contadina, concreta, l’altra, infermiera, è quella che mi ha preso con sé e fatto scoprire il cinema. Mio padre era emigrato in Argentina, tornò che ero al liceo e gli mettevo soggezione. Mamma mi ha avuto a sedici anni, troppo giovane. Avevo una sorella, morta a tre anni, di cui ricordo tutto. Per mia madre fu un dolore che cambiò per sempre i nostri rapporti. Non ho mai avuto una carezza, un abbraccio. Ma credeva in me. Quando le dissi che vendevo i libri di cinema perché non avevo soldi per pagare gli esami all’università, mi diede uno schiaffo: “Non vendere mai le cose che ami”. E fu lei a dirmi: “Parti, vai ad affermare te stesso”. L’ho trasformata nella madre di Braibanti, in Il signore delle formiche, nella scena in cui gli prepara le valigie. È morta a 38 anni».Lei ha fatto l’insegnante.«Supplente, giravo tutta la provincia di Catanzaro: sveglia alle quattro, pullman, bus. Ero, credo, un buon insegnante. La mia missione: ho rivoluzionato il sistema. Ho dato ai ragazzini che parlavano solo dialetto la possibilità di una lingua comune, parola per parola. Mi piaceva insegnare. Ricordo il tema di un alunno, La città che vorresti visitare. Rispose con poche righe: “Forse non è una città bella, ma vorrei visitare Torino perché c’è mio fratello che lavora”. Gli misi dieci. Seppi poi che lavorava a Prato. Il film Così ridevano è nato così».A vent’anni è andato a Roma.«Ero un ragazzino-oggetto, che stava dove lo mettevano gli adulti, senza autonomia. Ho sviluppato capacità di adattamento ma anche un grande desiderio di libertà. Senza quell’infanzia difficile, compressa, non avrei avuto tanta forza. A Roma avrei dovuto stare una settimana, ospite nella stanza di un amico. Chiamai Vittorio De Seta, che mi prese come aiuto. Quello è stato l’anno più emozionante della mia vita, paragonabile solo all’esperienza, molti anni dopo, di girare Lamerica. Tra tutti i miei film è quello che ho nel cuore, insieme a Il ladro di bambini. Lamerica è stata la scoperta rosselliniana di un mondo. Mi sono innamorato degli albanesi e di un’esigenza importante: diventare padre. Ho adottato un ragazzo albanese e avevo talmente paura che ho preso tutta la famiglia, l’ho messa a casa mia: tredici a tavola. Io dormivo dal mio direttore della fotografia, Luca Bigazzi».Il suo film migliore?«Così ridevano, non ha avuto la diffusione che meritava, e L’intrepido,con un Antonio Albanese gigante».Di grandi attori ne ha incontrati.«Sul fronte internazionale in cima c’è Jean-Louis Trintignant, peccato averlo dovuto doppiare per Colpire al cuore. Arrivò sul set: “Lei è al primo film, io ne ho fatti 62. Sarà in soggezione, ma no: senza un regista io sono un cane”. Dopo l’ultimo ciak ci scambiammo i maglioni come fanno i giocatori con le magliette».Un debutto in sala notevole.«Per la prima volta si parlava di terrorismo in una maniera diversa, particolare. Non si descriveva come un fenomeno ma come problema di tutti, come un’aria malsana che tutti abbiamo respirato a fine Settanta».Il suo film più controverso?«Va in onda mercoledì su Rai 1: Hammamet. Credo risveglierà discussioni. L’ho fatto con passione estrema, ignorando che si parlasse di un uomo con nome e cognome. L’ho visto come essere umano, come simbolo. Mi aspettavo tutte le reazioni, tranne quella del pubblico: un milione e centomila biglietti staccati».Che ricordo ha di Porte aperte e di Gian Maria Volonté?«Quel film mi ha fatto conoscere nel mondo, candidato all’Oscar. Incontrare Volonté è stato come conoscere un gigante, ma era anche un uomo che soffriva in maniera importante. Aveva scoperto la malattia, subìto l’operazione. Il set per lui era uno sforzo fisico enorme. Quel personaggio, a rivederlo, è impregnato di quella fragilità che aveva l’uomo. Una sera a fine riprese gli dico: “Sei stato formidabile”. Risponde: “Ora accompagnami perché io possa continuare a essere bravo”. Lo presi sottobraccio fino all’auto. Gian Maria è stato, tra gli attori, quello che soffriva di più il proprio talento, come Anna Magnani».Ha fatto in tempo a conoscerla?«L’ho conosciuta senza conoscerla. Un pomeriggio in una sala a vedere Un tram che si chiama Desiderio. Vicino a me una donna che commenta di continuo le battute di Vivien Leigh con partecipazione, identificazione. Mi giro per zittirla, realizzo che è lei. Di quel pomeriggio ricordo solo i suoi commenti. Bello esserci conosciuti da spettatori».Di attori ne ha anche scoperti.«Fui folgorato da un attore di teatro, Renato Carpentieri, lo volli in Porte aperte, scrissi per lui La tenerezza. Sono orgoglioso di Leonardo Maltese. Ho amato Favino, Rossi Stuart, Albanese, Castellitto, Mezzogiorno, Ramazzotti, Borghi».Ha attraversato un grande arco del cinema italiano.«Ho vissuto l’epoca dei produttori che mettevano i loro soldi e delle maestranze che risolvevano tutto col “fil de fero” e la creatività. Quel cinema me lo porto dentro».Il rapporto con la critica?«Quella negativa spiace, se arriva da chi stimi. Da Morando Morandini ho imparato tanto. Ho avuto un’uscita infelice alla Mostra di Venezia con Fabio Ferzetti per un titolo che consideravo offensivo. So che non dipendeva da lui ma, da amico, avrebbe potuto chiamare. Poi ci siamo incontrati e abbracciati. E io sono diventato un meme, che è andato oltre le Alpi. Quello in lingua italiana si può tollerare: io dico “ho cancellato il tuo numero, non voglio più avere a che fare con te”. Ma nei Paesi anglosassoni è diventato “I don’t want to have sex with you”. Non puoi che metterti a ridere».Il suo momento più felice?«Dall’alto dei miei ottanta, le dico che sono felice quando faccio film. Da fermo invecchio di mille anni; quando lavoro torno giovane».Progetti?«Un film e una serie. Mario Monicelli mi consigliava la commedia ma io, come diceva Sergio Leone, “so drammatico”».