La Lettura, 19 gennaio 2025
Suzanne Valadon, madre di Utrillo e pittrice
La pittrice stavolta precede la sua stessa leggenda. L’artista viene prima del personaggio che ha dato vita, nei decenni, a mille rievocazioni tra memorialistica e letteratura, miscela suggestiva in cui però diventa quasi impossibile distinguere la verità dalla mitografia. Occhi puntati dunque sull’autrice di quadri originali e potenti, tra i quali anche i primi nudi maschili mai dipinti da una donna, protagonista oggi ben oltre quel ruolo in cui fu troppo a lungo relegata: la madre di Maurice Utrillo, figlio di padre ignoto avuto a diciotto anni, anch’egli pittore, che per tanto tempo ne sovrasterà la fama.
La mostra inaugurata il 14 gennaio al Centre Pompidou ha raggiunto l’obiettivo: raccontare lei, Suzanne Valadon (1865-1938), come una delle grandi protagoniste, e tra le poche donne, di quella stagione aurea delle arti che ebbe come epicentro Parigi e il suo quartiere simbolo, Montmartre, a cavallo tra due secoli, l’Otto e il Novecento.
Più di duecento opere tra quadri e disegni ripercorrono, con taglio antologico, il cammino di questa donna con una biografia da film: bellissima in gioventù, forte di carattere, ribelle a quasi tutti i codici del suo tempo, ex acrobata in un circo diventata modella e musa (ma anche amante, stando ai suoi tanti biografi) di un pantheon di giganti, da Puvis de Chavannes a Pierre-Auguste Renoir, da Henri de Toulouse-Lautrec a Éric Satie, il grande musicista che la chiamava mon petit Biqui e che nei pochi mesi della loro relazione le scrisse centinaia di lettere traboccanti di devozione: «Tu sei in me tutta intera, dovunque io non vedo che i tuoi occhi squisiti, le tue dolci mani e i tuoi piedi da bambina...». Lei lo lascerà. Lui, che aveva iniziato come pianista nel glorioso cabaret Chat Noir, disperato per la rottura e ispirandosi a quel burrascoso rapporto comporrà le sue Vexations, non amando mai più nessun’altra.
Nata Marie-Clémentine, origini umilissime, Valadon era stata ribattezzata «Suzanne» da Toulouse-Lautrec, un maligno riferimento all’episodio biblico «Susanna e i vecchioni» con cui Henri alludeva al legame tra l’allora ragazzina- modella non ancora diventata pittrice e Puvis de Chavannes, quarant’anni maggiore di lei. Marie, anzi terrible Marie, la chiamò invece, per tutta la vita, quel genio di Edgar Degas. Uno che «terribile» lo era davvero: noto misogino, lingua tagliente, disprezzatore di tanti colleghi che invece scoprì e idolatrò il talento di quell’artista ancora in erba di cui arrivò a collezionare le opere, amandone in particolare i magnifici disegni (uno, bellissimo, Nu allongé sur un divan, 1907, è in mostra).
Proprio l’intensità del segno grafico, capace con un tratteggio marcato di definire e scolpire i volumi, è ciò che colpisce a prima vista il visitatore che attraversa le sale. Poi, quel tripudio di colori inventati di questa pittrice impossibile da classificare in base alle conclamate correnti dell’epoca: postimpressionista, forse, per anagrafe (ad aprire il percorso è un Autoritratto a pastello del 1883); ma colorava in realtà come una fauve (belva) prima dei Fauves... E se è vero che ogni suo quadro è immerso in pieno in un generale esprit de Paris, se è vero che Suzanne guardò ovunque e soprattutto ai suoi «maestri» (anche di vita) Cézanne, Toulouse, Gauguin, Matisse... è pur vero che nelle sue opere c’è soprattutto lei, Suzanne/Marie: per l’audacia dei soggetti, per le pose sfacciatamente intime dei nudi femminili, per il coraggio.
Chi, se non una con il suo carattere, avrebbe potuto orgogliosamente dipingere sé stessa a seno nudo all’età di 66 anni (Autoportrait aux seins nus, 1931), senza farsi sconti, con i tratti non dissimulati della decadenza fisica, proprio lei le cui fattezze avevano acceso in tempi lontani più di una passione? Anche le date, spesso, sorprendono: come nei quadri Nu au miroir e La Petite Fille au miroir, entrambi del 1909, opere che anticipano l’erotismo (anni Trenta) di Balthus. Quello stesso erotismo che torna a esplodere nel dipinto forse più noto di Valadon, il coevo Adam et Eve (1909): un doppio nudo frontale, e inizialmente integrale, lei/lui. Un quadro dove non v’è nulla di classico e assai poco di biblico, se non la pudica foglia di fico che la pittrice aggiunse anni dopo per farlo accettare al Salon des Indépendants del 1920. «Valadon, prima donna a dipingere in grande formato un nudo maschile di fronte», ricordano i curatori della rassegna – Nathalie Ernoult, Chiara Parisi e Xavier Rey. Di fronte, ma anche di schiena: tre anni dopo, 1914, sarà la volta di Lancement du filet («Lancio della rete»), grande olio di due metri per tre e altro inno di Suzanne alla bellezza virile e alla forza atletica, con la stessa figura maschile in tre pose-sequenza.
Altro che «Suzanne e i vecchioni»: libera nell’arte, libera nella vita, per entrambi i quadri – tra quelli che lo Stato francese le comprerà nel 1937, un anno prima della scomparsa dell’artista – Marie-Clementine aveva fatto posare come modello il suo giovanissimo amante e futuro marito, André Utter, ventuno anni più piccolo di lei. Vieille salope (vecchia baldracca) l’apostrofò in quell’occasione l’eccentrico poeta, pugile e critico (d’avanguardia!) Arthur Cravan, in un articolo apparso nello stesso anno sulla sua rivista Maintenant, insulto che poi gli costò una condanna per diffamazione.
Ma ingiurie e insolenze, di cui pure Suzanne fu vittima lungo l’intero corso della sua eccentrica esistenza, non cambiarono mai quello spirito indomito, anticonformista, ribelle. André Utter era un amico di suo figlio Maurice (anche lui nato da padre ignoto, il cognome glielo diede Miguel Utrillo, meteora della bohème parigina, critico d’arte, sodale del giovane Picasso appena approdato nella Ville Lumière), elettricista di professione e pittore autodidatta. I tre – madre, figlio e il consorte più giovane di entrambi – diedero vita a quella che sarà ricordata come la Trinité maudite, titolo di un famoso libro apparso nel 1952.
Da Leon Bloy a Gino Severini (che ricorderà sempre con grande affetto Suzanne, sua vicina di casa al civico 5 di Impasse Guelma e donna premurosa che lo salvò più volte dal freddo e dalla fame al suo arrivo a Parigi), memorialistica e letteratura sono ricolme di aneddoti, anche e soprattutto extrartistici: le scenate di gelosia fra i due amanti, i ferri da stiro incandescenti che volavano spaccando vetri, l’improvvisa ricchezza e le altrettanto repentine ridiscese nella povertà, i litigi furibondi fra madre e figlio sempre più alcolizzato. Francis Carco – gran cantore-agiografo di quel mondo pieno di quadri, café, bals musettes, mulini, cabaret ed epiche bevute, uno che però amava romanzare – racconterà di Maurice che nei suoi andirivieni dall’ospedale psichiatrico Sainte-Anne arriverà a scolarsi, in mancanza d’altro, acqua di colonia e smalto per colori. Lo chiamavano Litrillo, nomignolo famoso quanto i suoi poetici e struggenti paesaggi di Montmartre.
La Trinità Maledetta, lungo le sale, la si ritrova ovunque, soprattutto in un quadro celebre di Suzanne del 1912, che commuove per forza espressiva: l’intimo Portrait de famille in cui è raffigurata anche Madeleine, l’anziana madre della pittrice. Non solo qui, anche altrove Valadon ama dipingere ripetutamente il suo petit monde: l’amato gatto Raminou, altra celebrità della Montmartre dei tempi, Maurice fin da bambino, Satie (datato 1893, il suo ritratto è il primo olio noto della pittrice), poi André, la casa-atelier con giardino di rue Cortot 12 (indirizzo-mito dove i tre vissero a lungo, oggi sede del Musée Montmartre) o lo Château de Saint-Bernard a Villefranchesur-Saône, magione che la tormentata famiglia acquistò nel 1923 in tempi di raggiunto benessere.
La retrospettiva, divisa in cinque sezioni tematiche, dopo quelle dedicate a Georgia O’Keeffe, Dora Maar e altre, conferma l’impegno del Pompidou, in linea con la ricerca mondiale, nel riscoprire e approfondire la conoscenza delle artiste donne: «Una mostra che mette in luce – spiegano i curatori – questa figura eccezionale sottolineandone il ruolo di pioniera, spesso sottostimato, nella nascita della modernità artistica. E che rivela la grande libertà di questa artista che non aderì in verità ad alcuna corrente, se non, forse, alla sua».