Corriere della Sera, 19 gennaio 2025
Intervista a Maria Latella
Maria Latella, giornalista, conduttrice tv, scrittrice. Nata a Reggio Calabria, cresciuta a Sabaudia.
«Sono figlia di due maestri di origini meridionali. Avrebbero voluto che facessi l’insegnante, il mestiere grazie al quale avevano potuto sposarsi e iniziare una vita insieme. In seconda elementare li sentivo discutere: “Sarà presto per regalarle Pinocchio?”. Hanno cominciato a comperarmi libri a tre anni.. Erano dediti alla formazione di me e mio fratello».
Il suo primo tema.
«A 12 anni ho vinto un premio per una lettera a Nino Longobardi, firma de Il Messaggero. Gli dicevo che volevo fare la giornalista. Dopo 40 anni al Messaggero ci sono andata per davvero».
È cresciuta nella Sabaudia di Pasolini e Moravia.
«Moravia lo incontravo in pescheria, mi intimidiva. A 12 anni ho visto al bar lui e Dacia Maraini che guardavano in tivù i carrarmati entrare a Praga».
Sabaudia era un centro culturale di spicco?
«Alcuni intellettuali l’avevano trasformata in una enclave. In libreria arrivò Dario Bellezza e mio padre mi portò ad ascoltarlo. Non conosceva le sue poesie, comperò Invettive e Licenze, poi capì che era trasgressivo. E lo nascose».
La sua grande occasione.
«Mi ero iscritta a Giurisprudenza a Genova: ero con pochi mezzi, ma comperavo lo stesso il quotidiano. Un giorno ci trovai la notizia di 70 borse di studio della Federazione della Stampa. Arrivai terza e mi presero al Secolo XIX. Ma i miei avevano barato».
In che modo?
«Temevano che a Milano, dove c’era il Corriere della Sera da me indicato come primo giornale, non mi sarei laureata. Così cambiarono la graduatoria di preferenza: avevo 22 anni e passai i successivi dieci a fare cronaca nera al Secolo».
E la famosa laurea?
«Mi laureai con una tesi sul diritto all’immagine. Ma ormai ero una giornalista: il caso Achille Lauro mi aprì le porte degli Stati Uniti. Diventai stringer per Time e Nbc».
Il Corriere.
«Presi il posto del corrispondente da Genova che si era ammalato. Quando è scoppiato lo sciopero dei camalli sono riuscita a far avere in via Solferino la foto dei blindati al porto di Genova. Un colpo. Ma al Corriere mi chiamarono solo un anno dopo».
Il primo giorno a Milano.
«Era il 18 aprile 1990. Non è stato facile: il Corriere è West Point del giornalismo, se sopravvivi è come aver fatto il militare. Per i primi sei mesi non ho scritto una riga».
Come ha reagito?
«È stata una lezione: il messaggio era se vuoi sopravvivere devi sudartela, goccia dopo goccia. Ho raccolto la sfida e ho comunicato a fare quello che faccio da tutta la vita, ovvero il doppio lavoro: mi svegliavo presto e cercavo le notizie. Poi andavo a prendere mia figlia Alice a scuola e di pomeriggio iniziavo il turno fino alle 22».
Gli anni di Mani Pulite.
«Arrivai per prima a casa della vedova di Gabriele Cagliari che mi accolse dicendo: “Me lo hanno ucciso”. Diventò il pezzo del giorno».
Come conciliava la vita privata?
«Nella vita delle donne le scelte di famiglia procurano ulcere. Ottenni di tornare a Roma, ma non ci dormivo la notte: avevo già portato via Alice da Genova e ora da Milano, una città a cui era molto legata. Mi ha capita anni dopo».
Sua figlia le ha detto: «Mamma tu non hai amiche».
«Aveva 11 anni, ed era vero. Lavoravo fino a sera, la mia ansia era tornare a casa e trovarla sveglia, affidata a mia madre. Adesso penso che senza amici la vita sia più povera. Sono un fattore di serenità».
Quanto conta l’agenda?
«Tanto, ma non sono tipo da salotti. Non andavo agli aperitivi al Locarno, ho conosciuto Maria Angiolillo ma non le sue famose cene. Questo mi ha reso libera: se qualcuno faceva una scemenza potevo scriverlo, non avevo obblighi di riconoscenza».
Ha mai avuto la sindrome del foglio bianco?
«Eccome, ma ti sorregge il mestiere: i giornalisti sono i maestri della improvvisazione. Durante il primo governo Berlusconi i direttori dei quotidiani erano in gara tra loro e chiedevano a noi cronisti l’impossibile. Credo di aver fatto anche 30 chiamate per una battuta in più di cui poi non è rimasta traccia».
Il suo rapporto privilegiato con Veronica Lario.
«Prima della stagione di Berlusconi al potere non si sapeva molto di lei. Quando è uscito il mio libro Tendenza Veronica venne alla luce la sua storia, raccontata da lei e dai pochi intimi».
Come ha conquistato una donna riservata?
«Perché anche io sono riservata. E lei è coraggiosa».
L’ultima intervista l’ha rilasciata nel programma A casa di Maria Latella. Da steineriana ha detto di apprezzare l’intelligenza artificiale.
«È una persona curiosa, prima di farsi un’idea si documenta. Ha studiato e ha capito che dobbiamo abbracciare questa nuova realtà».
Le sue cene in televisione.
«Ne faremo altre dieci su Rai 3. Non voglio toni alti, mi interessa la competenza. Per il tema genitori-figli gli ospiti erano Paolo Crepet, Luigi Di Maio padre di un bimbo di pochi mesi, Alberto Forchielli e Valentina Vezzali, mamma e sportiva».
Anche nel privato è brava a mixare gli ospiti?
«Invito persone che hanno qualcosa da dirsi. Per la direttrice del FT Roula Khalaf ho messo insieme Vaticano, produzioni tv e cinema e Università. Ci siamo divertiti tutti».
La cena più faticosa?
«Quelle degli inizi. Questa è la sesta edizione: più ne fai meglio è».
La più divertente?
«Mi è piaciuta una delle ultime, a tavola con due donne molto diverse, Asia Argento e Maria Elena Boschi. La Boschi è razionale e pesa le parole, Asia ha fatto un percorso di consapevolezza delle parole».
L’ospite più maleducato.
«A cena non saprei. Di intervistati difficili ce ne sono stati: Miguel Bosé arrivò un’ora e mezza dopo, l’ex consigliere di Trump Steve Bannon pretendeva di gestire la conversazione e alla terza domanda se n’è andato. Ma se tornasse in Italia lo inviterei di nuovo».
Avrebbe voluto a tavola l’ex ministro Sangiuliano.
«Gli avrei domandato se da giornalista non pensava di aver sottovalutato la notizia che lo riguardava».
E avrebbe invitato Maria Rosaria Boccia?
«No, non mi incuriosiscono le persone che vogliono farsi intervistare a tutti i costi».
Dopo Sky la trasmissione è approdata in Rai. Come ha accolto questo ritorno alla tv di Stato?
«Non cerco mai le strade facili. È stata una grande soddisfazione e una nuova sfida: credo che in Rai cercassero persone di esperienza nel momento in cui sono andati via dei nomi importanti. Ieri il debutto di nuovo su Rai 3 con Al cinema con... La prima puntata è stata dedicata al film Siccità: lo commento con Paolo Virzì».
Giancarlo Perna ha detto di lei: «È la quintessenza della giornalista manager».
«Magari lo fossi, almeno un po’: forse voleva dire che mi sono inventata dei format, non ho aspettato me li proponessero».
Ha detto alle donne: «Non siate uome».
«Io lo sono stata. Nelle redazioni dovevi adeguare linguaggio e l’abbigliamento. Quando ho capito la bellezza di essere donna è stata un’Epifania».
Ha mai subito il pregiudizio maschile?
«Al Secolo arrivai da stagista, ventenne e carina. Il caporedattore me lo disse chiaro e tondo: “Se mi accorgo che diventi un elemento di disturbo per la redazione, hai finito”».
Una maestra.
«Oriana Fallaci, ho appena riletto Gli Antipatici, superbo. Poi Camilla Cederna. E Lina Sotis. Mia figlia mi chiese di leggere il suo bon ton».
Vorrebbe essere la Ophrah Winfrey italiana?
«L’ho intervistata: non ha avuto borse di studio, ha conquistato tutto da sola. È empatica, e credo di aver capito che abbiamo almeno una cosa in comune: divido il mondo tra chi si prende troppo sul serio e chi capisce che siamo di passaggio...».
Le hanno mai proposto di candidarsi in politica?
«Una volta, a sinistra, ma ho detto di no. Ce l’ho nel sangue, ma non sarei capace».
Kamala Harris perché non ce l’ha fatta?
«È stata tirata fuori dalla naftalina troppo tardi. La sua storia è bella ma elitaria, figlia di due intellettuali. Obama e Clinton venivano dal nulla. A casa di Biden non trovavi Taylor Swift, ma gli amici di sempre».
Chiara Ferragni: ce la farà?
«È stata una mia collaboratrice ad A. Le dicevo: “Stai dando gli esami alla Bocconi? Mi raccomando”. Non avevo capito niente. Si riprenderà se adesso farà qualcosa di diverso. Tutti hanno una seconda chance».
Quale è stata la sua?
«Il matrimonio con Alasdhair (il pubblicitario MacGregor-Hastie, ndr). Ci siamo sposati a Parigi nel 2013».
Chi ha fatto la prima mossa?
«Io, è stato un colpo di fulmine. Ci siamo conosciuti in trasmissione da me. Poi ho cominciato a chiamarlo con varie scuse, finché non ha capito».
In cosa l’ha cambiata?
«Il suo mantra è “it is what it is”: fattene una ragione. Calma l’italiana sanguigna che c’è in me. Io gli ho trasmesso un po’ di stile italiano».
Il complimento più bello che le ha fatto?
«Nei momenti di down mi dice: ricordati di quante cose hai fatto partendo da Sabaudia».