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 2025  gennaio 19 Domenica calendario

Il documentario sui palestinesi in corsa agli Oscar

Tra coloro che in queste ore leggono tra le righe dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza – felici per l’immediato presente degli abitanti della Striscia, preoccupati per il futuro dei palestinesi in Cisgiordania – ci sono Basel Adra e Yuval Abraham. Autori, con Hamdan Ballal e Rachel Szor, di No Other Land, documentario premiato alla Berlinale, agli Efa 2024 e in molti festival internazionali e in corsa per l’Oscar, appena uscito nelle nostre sale. «La gente di Gaza merita di smettere di essere massacrata, così come gli ostaggi israeliani brutalmente trattenuti meritano di essere liberati. A questo accordo si poteva arrivare già mesi fa. Ed è probabile che sia arrivato in cambio di concessioni ai coloni che vogliono annettere la Cisgiordania», commenta da Gerusalemme Yuval Abraham, classe 1995, mentre Basel Adra, di un anno più giovane, risponde, sempre via Zoom, da Masafer Yatta.
Il vostro film racconta la realtà di questa comunità rurale di venti villaggi già presenti sulle mappe del 1945, prima della fondazione dello Stato ebraico, e dal 1980 dichiarata dall’esercito israeliano «zona di addestramento militare chiusa» e oggetto di continui sfollamenti.
Basel Adra: «L’intento del documentario era che il mondo sapesse che esistiamo. Quello che viviamo da decenni non fa più notizia, le ruspe sulle case, la scuola distrutta, le tubature dell’acqua tagliate. Una comunità che assiste da sempre alla stessa scena: il mio primo ricordo, a cinque anni, è il faro di un soldato nella notte».
Siete entrambi giornalisti, lei, israeliano, come è entrato in contatto con Masafer Yatta?
Yuval Abraham: «Conoscevo da sempre la comunità, è molto cara agli attivisti israeliani contrari all’occupazione. Con Basel siamo diventati amici. Mi ha scioccato vedere con i miei occhi una realtà così diseguale, di apartheid, in cui le condizioni tra noi è di assoluta diseguaglianza e discriminazione».
Vi immaginavate i premi e le reazioni del pubblico?
Yuval Abraham: «Sinceramente no. Abbiamo girato per oltre cinque anni, le cose sono peggiorate continuamente, nella direzione opposta a ciò che crediamo, la possibilità di fermare lo sfollamento forzato».
Basel Adra: «L’impatto del film è stato inaspettato, siamo un collettivo di quattro attivisti, nessuno di noi è un cineasta professionista, io faccio riprese da sempre, come altri prima di me, per testimoniare la quotidianità. Abbiamo migliaia di ore archiviate, lo sforzo è stato trovare un filo al racconto, per il montaggio il lavoro di Rachel è stato fondamentale».
È anche il racconto della vostra amicizia.
Yuval Abraham: «Questo è semplice: israeliani e palestinesi possono essere amici, condividiamo valori e visione del mondo ma la nostra condizione non è di uguali: io posso votare per il governo che controlla la vita di Basel. Io posso andare quando voglio da lui, lui da me non può venire. Possiamo vivere in questa terra non come oppressore e oppresso, ma in piena uguaglianza».
Basel Adra: «Dovremmo essere liberi di costruire la nostre case, scuole, coltivare, allevare le pecore, andare al college. Ci auguriamo di poter cambiare, continueremo a difendere la nostra comunità».
Cosa è cambiato dopo gli attacchi del 7 ottobre?
Basel Adra: «È peggiorato tutto. Con la guerra gli insediamenti dei coloni si sono allargati»
Yuval Abraham: «Gli attacchi del 7 ottobre erano la mia paura più grande, purtroppo diventata realtà. Il numero di civili morti in questi quindici mesi è mostruoso. Ma è ancora più evidente che serve una soluzione politica, con il supporto dell’opinione pubblica internazionale. Noi israeliani non saremo mai sicuri se i palestinesi non saranno liberi».