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 2025  gennaio 19 Domenica calendario

Biografia di Emilio Isgrò

Cancellare non è proprio un gioco da ragazzi. Tutt’altro, può diventare un rito. Per Emilio Isgrò, che ha fatto ruotare la sua lunga vita artistica attorno alla cancellatura, è un gesto quasi sacrale. Pennello uno; inchiostro di uova di lompo, nero e grasso; attenzione e silenzio da amanuense. Una buona parte della letteratura di ogni tempo è finita sotto la sua lente. E ne è uscita tutt’altro che oltraggiata. Piuttosto trasformata, trasfigurata nelle parole superstiti che valorizzano il logos e danno forza alla potenza del messaggio.
Un genio della comunicazione? Un provocatore? Un rivoluzionario? Nel libro Io (non) cancello. La mia vita fraintesa, scritto con la storica e critica dell’arte Chiara Gatti (Solferino), Isgrò non esclude nessuna di quelle definizioni, ma le raccoglie sotto l’ombrello di una libertà artistica che in sessant’anni di attività continua a renderlo inconfondibile.
Classe 1937, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, siciliano di stirpe normanna, Isgrò ha fatto del fraintendimento la sua cifra pirandelliana. È più importante di un testo la parte cancellata o quella che si salva? Risposta sospesa, così è se vi pare. Del grande drammaturgo conosceva da ragazzo il ramo messinese della famiglia, quelle signorine Pirandello che gli alimentarono, prestandogli tanti libri, l’amore per la letteratura.
È una Sicilia di provincia povera, quella della sua infanzia; eppure percorsa dai fermenti sotterranei del Futurismo che la scuote da un’atavica sonnolenza. Il padre ebanista che lo iniziò alla poesia, la madre («la donna più intelligente che abbia mai conosciuto») che lo sognava avvocato. Come lo zio Ciccio, che però lo portava all’Opera a Palermo. E poi lo zio Iris, pittore. L’arte si inocula nell’animo di questo fanciullo dai boccoli biondi e gli occhi verdi che si fa amare da una famiglia ben più allargata, fatta di nobili, notabili, intellettuali locali, tutti a incoraggiarlo e sostenerlo. Quando nel 1956 Isgrò lascia la Sicilia per Milano è tutt’altro che un migrante con la valigia di cartone; da giovane poeta ha già ricevuto gli apprezzamenti di Salvatore Quasimodo, Vittorio Sereni e Pier Paolo Pasolini che recensì il suo primo libro di versi, Fiere del Sud.
Poesie
Quando arriva a Milano nel 1956 è un poeta apprezzato da Quasimodo e Sereni
e già recensito da Pasolini
Milano lo accoglie a braccia aperte nei circoli intellettuali, il salotto di Silvana Mauri e Ottiero Ottieri è un palcoscenico di idee e dibattiti tra il mondo artistico ed editoriale. E lo inserisce nell’ambiente del giornalismo, che poi conoscerà «dall’altra parte», cioè non soltanto come autore di articoli ma anche come responsabile delle pagine culturali del «Gazzettino» di Venezia dove viene chiamato dal direttore, il conterraneo Giuseppe Longo.
Sono anni cruciali per fissare la sua identità artistica. Isgrò ha amato per molto tempo raccontare la piccola bugia di aver pensato alle cancellature «riscrivendo» i testi prolissi e ritenuti sintatticamente traballanti di Giovanni Comisso, ma certamente l’editing dei pezzi da passare per il giornale, lavoro che «tormenta» le giornate di un caporedattore, è stato ispiratore di una visione capovolta sul valore delle parole. L’altro fatto che provoca la svolta di Isgrò fu l’arrivo della Pop art alla Biennale del 1964. Dopo essersi tenuto lontano dall’ermetismo dei poeti del Gruppo 63, Isgrò riflette sulla forza dell’immagine (consumistica) proveniente dall’America e intuisce che la sua può diventare una «terza via»: un’immagine che si basa sulla parola. I galleristi si incuriosiscono ben presto, la chiamano «poesia visiva». Dice Isgrò: «Le parti cancellate sono un pieno, sono una forma plastica, sono materia e volume di un discorso visivo, sono immagine. Le parole risparmiate hanno, dal canto loro, una qualità poetica spontanea, capace di imporre metafore sbocciate dal sole». Oppure «sono come relitti in mare ai quali aggrapparsi in cerca di un senso delle cose». Un esempio, le poche parole salvate dall’Inferno di Dante: «Nel mezzo del cammin/ fu la paura».
In questo libro Isgrò si racconta con compiacente orgoglio non solo per le «imprese» realizzate (fino alla Costituzione cancellata esposta alla Gam di Roma e la Cancellazione del debito pubblico commissionata dalla Bocconi) ma anche per aver difeso la sua identità di outsider superando diffidenze e ostracismi. Non mancano i giudizi coloriti, talvolta sprezzanti, sul carattere umano di molti protagonisti della cultura italiana del secondo Novecento e racconti gustosi come quello di Peggy Guggenheim che gli concesse un’intervista nella speranza di poter convincere i veneziani a visitare la sua preziosa collezione. E poi le esperienze teatrali come l’Orestea in siciliano a Gibellina, l’invenzione di una nuova simbologia (il seme d’arancia che per una scultura in marmo commissionata dall’Expo del 2015 fece ingrandire un miliardo e mezzo di volte), le installazioni scenografiche realizzate a Brescia dove, con l’aiuto della tecnologia, la cancellazione delle scritte delle epigrafi in latino era affidata a un emozionante sciamare di un grumo di api.