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 2025  gennaio 18 Sabato calendario

Willem Dafoe ricorda David Lynch


Willem Dafoe sta girando un film a New York. Quando lo raggiungiamo al telefono, è appena fuori dalla porta di casa ed è di corsa. Lo aspetta una giornata «folle» e «zeppa di impegni» ma, sospira: «Ho amato così tanto David che voglio contribuire in qualche modo al suo ricordo». Con David Lynch, il grande cineasta scomparso mercoledì a 78 anni, l’attore girò Cuore selvaggio,una storia d’amore oscura, travolgente, grottesca. La Palma d’oro al Festival di Cannes, nel 1990, la consegnò il presidente di giuria Bernardo Bertolucci, che aveva difeso il film da qualche contestazione.Qual è stata la grandezza di David Lynch come artista?«David aveva una visione unica, da cui non si è mai allontanato, durante tutta la lunga carriera. Era una combinazione straordinaria di gentilezza, dolcezza e schiettezza da cuore americano, unita però all’immaginazione di un surrealista tormentato».Cosa perde il mondo con la sua morte?«Il suo umorismo e i suoi bellissimi film. Ci mancheranno anche i suoi bollettini meteorologici… Ha avuto un impatto gigantesco, indelebile, sulla storia del cinema».In “Cuore selvaggio” lei è Bobby Perù, figura oscura e disturbante che rappresenta violenza, caos, perversione. Come furono le riprese?«Come attore, per me è fondamentale, su un set, avere un ambiente capace di stimolare la mia immaginazione, farmi vivere un’esperienza. Da lui ho avuto questo, in un modo tale che, in Cuore selvaggio, non ho interpretato Bobby Perù: è stato lui a interpretare me. Ha creato un mondo e un’atmosfera sul set che mi hanno fatto attingere, senza sforzo, a un personaggio che semplicemente dormiva dentro me. Penso sia un personaggio meraviglioso e, quando le persone ancora mi dicono quanto sia piaciuto loro, non posso cherispondere sempre: “Beh, tutto il lavoro è stato fatto da David. Io non ho meriti, non ho fatto nulla”. E non lo dico per falsa modestia. È che, quando lavori con lui, tutto scorre facilmente, in modo naturale. Non esiste alcuna forma di angoscia o un controllo opprimente ma, invece, chiarezza, senso dell’umorismo e curiosità».Cos’ha imparato da lui?«Il suo era un set giocoso. Lui lavorava con un tale senso di meraviglia e piacere… La verità è che l’angoscia ti stringe, il piacere invece ti apre. Non si tratta di quello che lui mi ha detto, ma semplicemente è bastato quello che ho visto: era così leggero nel suo approccio all’esplorazione del lato più oscuro dell’animo umano».Era anche un essere umano speciale. Quale immagine le viene in mente, pensando a lui?«Quando gli ho fatto visita in un laboratorio di stampa a Parigi, David stava lavorando ad alcuni disegni, fumando, era di buon umore. Indossava un grembiule da tipografo macchiato di inchiostro, aveva la sapienza concreta di un artigiano, senza grandi pretese, ma sempre profondamente immerso nel suo mestiere, nel suo andare verso ciò che voleva vedere e che non era ancora stato realizzato. Mi resta l’immagine di quel momento: indipendente, felice di essere da solo, lì a lavorare. A mescolare, ancora una volta, la banalità del concreto con il suo mondo fantastico».