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 2025  gennaio 17 Venerdì calendario

L’amore di Joyce per Nora Barnacle

Del grande scrittore irlandese James Joyce si scopre un romanticismo perfino sdolcinato in Le lettere a Nora (Alter Ego edizioni, pp. 173, euro 17), a cura di Andrea Carloni. Se non fosse per il suo tentativo di mettere in mostra il lato più miserabile di un traditore qualunque, il suo canto d’amore per la giovane e fresca Nora sarebbe un esercizio estetico epistolare di poco conto. Invece, dichiarandosi “colpevole” mantiene la dignità di un uomo normale, con le proprie miserie da farsi perdonare nella lotta tra i sessi. «Nessun uomo, credo, potrà mai essere degno dell’amore di una donna».
Ma chi era Nora Barnacle (Galway, 21 marzo 1884 – Zurigo, 10 aprile 1951), l’amante, la compagna e infine la moglie di James Joyce? L’unica donna in grado di resistere accanto a quell’uomo geloso, solitario, incapace di far fronte alle difficoltà economiche, dipendente dall’alcol e perversamente attratto dai bordelli?
Sappiamo però che James era talmente innamorato di Nora da scegliere la data del loro primo appuntamento a Dublino come unità di tempo del suo romanzo Ulisse: il 16 giugno 1904. Soliti narcisismi tipici dello scrittore, si potrebbe pensare. Invece, leggendo le sue lettere a Nora, quei riferimenti biografici di cui l’Ulisse è disseminato, assumono il significato di una vera e propria ossessione d’amore.
In questa raccolta di lettere – sapientemente selezionate – scopriamo le debolezze di un uomo qualunque, raccontate da Joyce in prima persona. Il grande scrittore ci svela il suo «de profundis d’amore», descrivendo le fasi dell’innamoramento.
L’inizio e la fine di un sentimento delirante, ossessivo, geloso, passionale e folle, in una escalation di stati d’animo. «Mi chiedo se ci sia della follia in me. O l’amore è follia?». E Nora gli concede perfino delle lettere oscene nel loro carteggio febbrile durante i periodi di solitudine di Joyce, nel tentativo di tenerlo lontano dai bordelli. Nella parte finale si trova la raccolta di lettere in cui Nora si finge scrittrice erotica. Poi però se ne pente e qualcosa va storto quando si rivedono. «Mia particolarmente imbronciata Nora. Dimmi che diavolo avevi l’altra sera. P.S. Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti». Così Joyce scrive anche in altre lettere in cui si diverte a non capire i malumori di Nora.
Lei lo rassicura: «Mi sembra di essere sempre in tua compagnia nelle più svariate circostanze possibili, parlare con te, camminare con te, incontrarmi con te».
Poi esorta la sua adorata Nora a lasciarlo. «Ho ucciso il tuo amore. Ti ho riempito di disgusto e disprezzo per me». E le apre gli occhi: «Lasciami. È una degradazione e una vergogna per te vivere con un miserabile come me. Agisci con coraggio e lasciami. Mi hai dato le cose più belle di questo mondo, ma stavi solo gettando perle ai porci».
Joyce confida a Nora le sue ferite infantili quel dolore difficile da estinguere che però spiega molti dei suoi comportamenti. Così lo leggiamo in una lettera: «La mia mente rifiuta l’intero attuale ordine sociale e il cristianesimo – la casa, le virtù riconosciute, le classi sociali e le dottrine religiose. Come potrebbe piacermi l’idea di casa? La mia casa è stata semplicemente un affare borghese distrutto dalle abitudini spendaccione che ho ereditato. Mia madre è stata lentamente uccisa, credo, dai maltrattamenti di mio padre, da anni di problemi e dalla mia condotta di cinica franchezza».
La madre di Joyce, Mary Jane Murray, morì di cancro nel 1909, a quarantaquattro anni, mentre il figlio James, ventunenne, studiava a Parigi. L’Ulisse inizia proprio con la morte della madre del protagonista, alter ego di Joyce. A Nora in una lettera lunghissima confida che quando vide il volto della madre mentre giaceva nella bara, capì che: «Stavo guardando il viso di una vittima e ho maledetto il sistema che l’aveva resa una vittima. Eravamo diciassette in famiglia. I miei fratelli e sorelle non sono nulla per me. Un fratello soltanto è in grado di capirmi».
Alla fine delle lettere, Joyce, liberandosi del suo stesso fardello di un amore romantico ideale e impossibile, riesce ad amare finalmente Nora, da amico, da fratello e da vero uomo le dimostra un amore senza violenza e sopraffazione. E canta la nostalgia «Che misteriosa bellezza riveste ogni luogo in cui è vissuta». E senza paternalismi «testolina bruna», oppure «piccola splendida screanzata e scontrosa bambina», «mia cara piccola Butterfly», le parla con amore. «Ho amato in lei l’immagine della bellezza del mondo, il mistero e la bellezza della vita stessa, la bellezza e il destino della razza di cui sono figlio».