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 2025  gennaio 17 Venerdì calendario

Dopo Cecilia, non dimentichiamo le altre prigioniere


Continuo a rallegrarmi per il ritorno a casa della giornalista italiana Cecilia Sala, il cui arresto e la cui detenzione in isolamento a Evin provano ancora una volta come reporter e operatori dei media siano costantemente a rischio in Iran. Da donna a donna le auguro vita e libertà. Vorrei però accendere un faro, l’ennesimo, anche sugli altri, sulle attiviste, sui cronisti locali, sui diritti umani nel grande carcere in cui vivo e viviamo.Non abbiamo statistiche accurate sui detenuti politici e ideologici in Iran. Ci sono famiglie che non rivelano la prigionia dei loro cari. Alcuni di loro non hanno nemmeno accesso alla rappresentanza legale. Altri, soprattutto nelle regioni remote di Sistan, Baluchistan, Kurdistan, Khuzestan, Azerbaigian, si trovano in condizioni addirittura peggiori di chi è richiuso a Evin, a Teheran. Sappiamo di persone tenute in isolamento in reparti di sicurezza e centri di detenzione segreti, non ufficiali, luoghi isolati da cui non esce alcun suono. La situazione è ancora più grave oggi che il regime, indebolito dalla perdita di tutti i suoi proxy regionali, colpisce con più forza la società civile, le donne, i lavoratori, gli insegnanti, gli ecologisti: da quindici anni non si vedevano tante condanne a morte e le carceri sono piene.Conosco bene la prigione. Ero lì quando mi hanno ripetutamente candidato al Premio Nobel per la Pace ed ero lì quando un anno e mezzo fa mi è stato destinato. Ricordo tutto. Ricordo di aver pensato a Mahsa Jina Amini, alle città iraniane piene di manifestanti, ai giovani uccisi per la strada e a quelli in cella. Ricordo di essermi detta che quel premio – assegnato a una attivista con una lunga storia di battaglie civili – apparteneva ai manifestanti, al mio popolo capace di ribellarsi. Ne sono convinta: gli iraniani, che affrontano prigionia e torture semplicemente per aver sostenuto i diritti umani, meritano quel riconoscimento. Dopo il movimento “Donna, vita, libertà”, il Nobel ha dimostrato che il mondo osserva le donne iraniane in lotta e ascolta le loro voci. È stato un messaggio importante anche per il regime. Prova ne sia la nuova legge che inasprisce le pene per chi non porta l’hijab, bloccata non in virtù delle presunte divisioni tra moderati e irriducibili ma perché una parte del governo ha paura dello scontro sociale.Non torniamo indietro, andiamo avanti insieme. È tempo che la comunità internazionale, le organizzazioni per i diritti umani e le Nazioni Unite facciano pressione sulla Repubblica islamica affinché rilasci tutti prigionieri politici e ideologici.Vi chiedo di non tornare indietro, noi non lo faremo.Vivo ogni giorno in uno stato di incertezza. In questo preciso momento sono a casa, sottoposta a cure e trattamenti medici. Una specie di limbo, una condizione sospesa. Per quanto tempo durerà? Gli avvocati e i medici che mi seguono hanno inoltrato la domanda alle autorità della Repubblica islamica, ma il procuratore si sottrae, resta in silenzio. E io vado avanti.Qual è l’obiettivo finale? Non mi è difficile rispondere. Il traguardo è l’orizzonte, il domani dove germogliano la libertà dal dispotismo religioso, la democrazia, l’uguaglianza. Sembra lontano, eppure non è un viaggio solitario: siamo in tanti a muoverci nella stessa direzione, sia nella storia dell’Iran, segnata da lotte temerarie, che in quella contemporanea.Sono profondamente pacifista, sono contraria alla guerra, sono convinta che il cambiamento in Iran avverrà senza armi né ingerenze esterne, avverrà attraverso cittadini e cittadine che, con un percorso peculiare nella regione, hanno raggiunto la consapevolezza dei propri diritti e non vogliono vivere sotto una dittatura religiosa.Il mio Paese è stato costruito da uomini e donne che sull’altare della libertà e della giustizia hanno sacrificato le loro vite, la loro ricchezza, i loro mezzi di sostentamento. Ho sempre tratto grande forza dal sacrificio di chi prima di me si è battuto per ideali che andavano oltre il presente, oltre il tempo. Ogni volta che il mio cuore è stato schiacciato dall’oppressione fisica e psicologica sono tornata al nome di Nelson Mandela, l’ho pensato, mi ha confortato.La libertà è forse il concetto che più di ogni altro struttura il mondo moderno, valore fondante e fondamentale. Non solo la libertà consente l’affermazione della propria volontà e la possibilità di scegliere, ma alimenta la creatività, la prosperità, la crescita. Ecco perché il più potente movimento progressista iraniano, quello nato nel nome di Mahsa Amini, si chiama “donna, vita, libertà”. Perché per noi la libertà significa il rifiuto della schiavitù e della sottomissione all’arbitraria volontà di chicchessia, un giogo che spesso deriva dalle disuguaglianze sociali ed economiche.La libertà non può essere indipendente dalla giustizia, quella vocazione umana a ridurre le disuguaglianze economiche e aprire la società a tutti, individui, gruppi, minoranze. “Donna, vita, libertà” è una promessa travestita da slogan: la formula che mette insieme le donne con la loro resistenza alla discriminazione; la vita, che per essere tale deve fare rima con dignità; la libertà, senza cui mancano le condizioni per tutto il resto.