la Repubblica, 17 gennaio 2025
Sempre di meno nella valle degli Elfi di Sambuca Pistoiese
SAMBUCA PISTOIESE (PISTOIA) – Ma tu, tu che appari di colpo dietro un albero coperto di muschio, tu sei un elfo? «Mi,sono un elfo di Vicenza», risponde quello, alto e incappucciato, lo zaino in spalla, e una lattina di birra. Incrociato su un sentiero che forse è quello giusto, forse no. O elfo, puoi tu guidarci nel Gran Burrone, visto che si è sottozero e sta facendo buio, qui nel bosco? «Venite con me». Si entra così nella Valle degli Elfi, un posto selvaggio che sta sull’Appennino pistoiese, dove non si vede luce umana, e la luna non aiuta perché è nuvolo, forse nevicherà.Poi, una lucina lontana. Un gruppo di case antiche, un grato odore di letame. Si sentono voci, un gran sbatacchiare di pentole. Ecco gli elfi. Ultimi discendenti di una comune, come si usava negli anni della contestazione, fondata nel 1980 da una ventina di ragazzi che scelsero di vivere in un posto sperduto (un’ora di cammino per scendere, qualcosa di più per risalire). Poi, qualcuno è morto, qualcuno invecchiando ha deciso di riavvicinarsi alla civiltà. Altri resistono, vivendo in povertà, coltivando la terra, forse cacciando il cervo con l’arco e le frecce. Angela, che ha 29 anni, è arrivata dopo e qui ha imparato a usare le erbe. «Ho conosciuto un ragazzo con la chitarra, mi ha detto ‘vieni nel bosco’». Lui poi se ne è andato, lei è rimasta.Gabriele, 47 anni, dopo studi di Sociologia a Trento «sono stato in Spagna, poi qui». Un “anziano”, e residente, perché gli altri sono ragazzi – figli di elfi –, un po’ stanno e un po’ vanno, liberi come uccelli. E cosa li lega a questo posto magico e scomodo, lo spiega uno che ha un nome strano «sognato da mia mamma», che non vuol dire per motivi suoi: «Io sono nato qui, ma ad Avalon, dall’altra parte della montagna». Avalon, l’isola della leggenda di Re Artù, un altro villaggio della Valle dove, spiegherà una “vecchia” elfa, «le donne incinte scendevano quando era il momento del parto. Si era più vicine a un ospedale…».E questi 6 ragazzi sono tutti nati qui, «e siamo fratelli, più che amici». Uno, che assomiglia a Sid Vicious (ma non sa chi erano i Sex Pistols) ci vive «perché mi piace stare con gli animali, e nel bosco». La scuola? «Ho lasciato, non mi interessava più». Un altro si è diplomato all’alberghiero, «ma cucinare nei ristoranti, senza amore, non è per me». La mattina dopo andranno a far legna, e scenderanno con un tronco in spalla (tanti Obelix caduti nella pozione da piccoli). E Tolkien? «Certo, lo abbiamo letto. Non è mica solo della Meloni, che peraltro ci sembra una donna così triste…». Antifascisti, tutti. «I fascisti? Forse tifano per gli orchi…».Il primo nucleo arrivato al Gran Burrone occupò case abbandonate, e chiamò gli amici. «Zappavamo la terra nudi. Era una delle nostre libertà», ricorda Magdalena, che ha 54 anni, vive alle Case Sarti ed è arrivata a prendere il figlio Pat di 16 anni «per portarlo dal dentista, a Prato». Atterrata nella Valle nel 1994 dalla Germania, con due figli di uno e tre anni, su un furgone. «La prima immagine: tanti bambini che facevano merenda attorno a un tavolone. Ho pensato: è il mio posto». Altri due figli li ha avuti qui, «in una vasca da bagno piena di acqu a calda, all’aperto. Allora vivevamo nel nostro teepee…». E all’epoca, «tutti qui leggevano Il signore degli anelli.Ma non abbiamo scelto noi di chiamarci elfi. Sono stati gli altri, gli esterni».Colpiti da quello stile di vita selvatico, che ancora rimane, ed è quello dei montanari dell’Ottocento. No luce, no acqua corrente, no servizi igienici. «La pipì? Fuori, dove vuoi. Il resto? Prendi la zappa e scava un buco. Poi copri», queste le istruzioni all’ospite, che è caro agli elfi – «chiunque può arrivare e fermarsi con noi», forse anche la Meloni – e lo faranno dormire al caldo, nel fienile che si affaccia sulla cucina. Intanto, sulla stufa a legna bolle un pentolone con qualcosa (un pezzo di pecora, macellata giorni fa). Si dorme quindi nel vapore del brodo, più altri vapori.E loro, dormono al gelo, in vecchie camere poetiche, letti autocostruiti e molti piumini, alle pareti fiori dipinti, e le stoffe indiane dei primi elfi, ormai stracciate. «All’inizio abbiamo occupato. Poi abbiamo comprato i borghi, che venivano via per poco. I vecchi morivano, i giovani andavano in fabbrica. La montagna si è spopolata». Noi «avevamo un’idea di libertà» che non era solo andare in giro nudi e facendosi molte canne, ma «vivere nella natura, e in comune. Rifiutavamo le regole della società. Ci siamo dati le nostre». Nel Duemila la massima espansione, «200 in tutta la valle. Oggi, siamo forse 60. I primi 4 villaggi, poi otto. E visto che nascevano molti bambini, abbiamo organizzato una elementare, con due maestre vere, e anche noi insegnavamo matematica, inglese, arte, e il canto». Le medie a Pavana, le superiori a Pistoia, dove si affittava un appartamento per gli studenti. Qualcuno si è laureato (due sono architetti), una in Letteratura russa e ucraina, senza mai perdere l’imprinting elfico.«Quest’anno abbiamo raccolto 34 quintali di castagne. Portati al mulino negli zaini, e riportati giù. Solo 5 quintali di farina, è stata una brutta annata», spiega Gabriele. Un tempo si mangiava quello che si aveva: castagne, patate, il latte della mucca. Poi hanno cominciato a barattare, la frutta per la cioccolata, il riso. La cucina economica De Manincor, comprata usata, ci sono voluti 4 uomini per portarla giù. E il pianoforte? «È stato faticoso ma bello». Tutto a spalla. Le comodità sono arrivate tardi. Un tubo che porta l’acqua da una fonte. Una decina di anni fa, qualche pannello solare per l’unica lampadina, in cucina. I cellulari poco dopo. «Io il telefono lo uso per scrivere agli amici lontani, su Whatsapp. E andare su Instagram ogni tanto. Ma posso anche farne a meno», dice uno dei ragazzi. «Tutti dobbiamo ricaricare i telefoni, ma se piove o è coperto i pannelli non funzionano», dice Angela. Quindi? «Accendiamo le candele e stiamo senza telefono». «La connessione è scarsa», fa un altro. Ma è importante? «Questo è il nostro mondo, ma poi c’è il mondo fuori», e alla domanda se non si senta povero, risponde «mi sento più ricco di un pari età che vive in città, e si annoia». Lui no, «guardo i conigli, le papere, poi c’è da portare fuori il maiale. Domani lo ammazziamo. Perché quando mangi la tua carne, è molto meglio». Magdalena dice «abbiamo voluto dare ai nostri figli la libertà», in una specie di esperimento sociale che vive ancora, basta guardare questi ragazzi allegri e «selvatici!», dice uno. E liberi, sì.