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 2025  gennaio 17 Venerdì calendario

I fronti del nuovo Medio Oriente


In 15 mesi Hamas e Hezbollah hanno incassato colpi pesanti Israele teme l’incertezza in Siria e l’influenza di Qatar e Turchia Intanto lo Stato ebraico vede l’opportunità per colpire il programma nucleare iraniano
P er ora abbiamo una tregua annunciata, fragile, mobile come la sabbia del deserto. I nemici di Israele non depongono le armi mentre a Tel Aviv i falchi del governo chiedono di continuare la guerra. Così sulla mappa sono aperti cinque fronti.
GazaHamas ha incassato colpi pesanti, ha visto sparire i suoi leader principali, ha perduto migliaia di uomini ed è guidata da un irriducibile come Mohammed Sinwar che ha condiviso con il fratello Yahya molte scelte. Tuttavia, il movimento non è per nulla sparito, ha ripreso a reclutare e poco importa se parte degli arruolati possono essere inesperti. Ve ne sono ancora migliaia, numeri che bastano e avanzano per tenere alta la sfida.
La Striscia è ancora nelle loro mani nonostante le tonnellate di bombe. Hanno fatto scorte, si sono organizzati. Solo il tempo dirà se il ruolo egemone – imposto anche con la forza brutale – ha perso la «presa».
Hamas – suggerisce un’analisi del Jerusalem Post – desidera essere sottostimata in modo da poter sorprendere chi è sulla barricata opposta.
IranL’avversario più lontano rappresenta il dossier più «vicino». Almeno nelle intenzioni del premier Netanyahu che lo ha messo in linea di tiro. Tel Aviv è convinta che vi sia un’opportunità per ostacolare il programma nucleare con l’opzione bellica, una finestra temporale allargata dall’indebolimento delle milizie sciite e dalle difficoltà interne degli ayatollah (rivalità, tensioni, economia). «Bibi» conta sull’eventuale sponda di Donald Trump ma non è detto che il prossimo presidente Usa, pur deciso a contenere Teheran, approvi l’azione bellica. Molto dipenderà da contatti, situazioni contingenti e mosse della Repubblica islamica.
I pasdaran fanno rullare i tamburi: esercitazioni, bunker pieni di missili, show di armi, toni minacciosi. Il presidente Masoud Pezeshkian, invece, gioca la carta della diplomazia. Un approccio binario per non perdere il ruolo di faro della «resistenza» ed evitare di finire nell’angolo.
I rischi dello scontro con lo Stato ebraico restano, i sistemi a lungo raggio sono «sulle rampe», anche se magari i contendenti preferiscono duellare in segreto, con operazioni coperte. Arabia Saudita ed Emirati seguono gli sviluppi: un Iran alle prese con problemi torna a loro vantaggio, allo stesso tempo non desiderano certo altre «fiamme» nel Golfo in quanto aggiungerebbero veleno e gli esiti sono imprevedibili.
LibanoIl cessate il fuoco con Hezbollah è bucato da qualche incursione, però tiene. Il movimento filoiraniano deve riprendersi dalla botta subita in estate con l’uccisione dei suoi capi e di un gran numero di veterani. Inoltre, a causa del crollo di Assad, ha visto venir meno un corridoio logistico fondamentale attraverso il quale arrivavano alleati, equipaggiamenti, materiale.
Gli osservatori ritengono che la fazione sia assorbita dal processo di ricostruzione, in un contesto più complicato rispetto al passato e con un quadro politico libanese dove gli occidentali, insieme alle monarchie sunnite, sperano di degradare l’influenza del «partito di Dio». La Storia del passato, però, ha mostrato fasi alterne, con picchi di crisi, periodi di calma, conflitti brevi o lunghi, conseguenze della realtà frammentata, dell’abbondanza di «fucili», delle intromissioni esterne.
SiriaÈ il quadrante più incerto, con i ribelli jihadisti a Damasco e una fascia di territorio occupata da Israele all’indomani della cacciata del dittatore. Due giorni fa l’Idf ha lanciato uno strike – il primo – contro esponenti del nuovo potere, un segnale evidente di come Tel Aviv non cerchi la distensione totale. Infatti, nella visione strategica israeliana sarebbe stato meglio continuare ad avere Bashar Assad alla guida – umiliato ogni giorno da continui raid – piuttosto che trovarsi come vicini di casa i guerriglieri.
Perché a Tel Aviv temono un rafforzamento dell’influenza di Qatar e Turchia, i due grandi sponsor degli insorti e legati, in forme diverse, ad Hamas.
YemenEcco allora scenari che prospettano una collaborazione tra Israele e i curdi in chiave anti-turca e anti-iraniana. Un’amicizia pragmatica con precedenti storici noti. Il mosaico siriano si presta a patti variabili.
Gli Houthi sono entrati nel conflitto in difesa dei palestinesi e hanno condizionato il traffico commerciale nel Mar Rosso. Lanci di missili/droni verso lo Stato ebraico, agguati alle navi lungo la via d’acqua. Azioni per fiancheggiare il fornitore bellico iraniano e diventare protagonisti autonomi nella regione. Israele ha risposto ripetutamente con bombardamenti aerei a 2 mila chilometri di distanza: atti di rappresaglia, training indiretto per quanto potrebbe fare contro l’Iran. Ora i tosti militanti yemeniti sono disposti a fermarsi – come indicano le ultime informazioni – però sono pronti a riprendere gli attacchi se la tregua sarà violata. Non hanno paura, hanno poco da perdere, non si preoccupano dei civili, hanno l’arsenale a disposizione. E si trova sempre un pretesto per combattere.