Il Messaggero, 16 gennaio 2025
I 50 stranieri prigionieri di Maduro
Una politica decisa a tavolino da Nicolás Maduro e portata avanti con fredda determinazione negli ultimi sei mesi. È la strategia degli arresti di cittadini stranieri o con doppia nazionalità, in tutto 50 da 12 paesi diversi, che il regime socialista venezuelano ha catturato e incarcerato, e userà ora come “pedine di scambio” per ottenere, per esempio, dagli Stati Uniti un allentamento delle sanzioni. Nello staff del prossimo presidente americano, Donald Trump, molti sono i “nemici” del dittatore venezuelano e l’ipotesi è che il tycoon possa usare le maniere forti con Caracas, nonostante gli ci siano almeno tre cittadini statunitensi prigionieri: David Estrella, 64 anni, padre di 5 figli, che ha attraversato il confine dalla Colombia il 9 settembre secondo l’ex moglie Elvia Macias, per andare a trovare degli amici, ma anche Wilbert Castaneda, 37 anni, marine volato in Venezuela dalla fidanzata, arrestato a fine agosto per un fantomatico complotto per uccidere Maduro. Con lui Aaron Barrett Logan, 34 anni, la cui famiglia ha scoperto dell’arresto da una telefonata del Dipartimento di Stato. Strano, ma nessuno dei tre è risulta in Usa “ingiustamente detenuto”.LA STRATEGIALa strategia di Maduro si dipana nella zona grigia delle operazioni della polizia segreta. Molti dei “rapiti” non hanno neppure un nome, ufficialmente, di loro non si sa nulla, rientrano nella categoria dei “desaparecidos”. Al contrario, ha un nome che pesa Rafael Tudares, genero del concorrente di Maduro nelle presidenziali del 28 luglio, Edmundo Gonzales, attualmente in esilio in Spagna e impegnato in un tour sudamericano che lo porterà nei prossimi giorni a Panama. Maduro si è di fatto autoproclamato presidente, forte di una decisione istantanea del capo della Commissione elettorale suo amico.LE ELEZIONIMa il risultato è stato impugnato dall’opposizione, in particolare dalla sua leader, María Corina Machado, che aveva espresso come candidato l’ex magistrato Gonzales, non potendo più presentarsi perché pretestuosamente esclusa dalla competizione. Il Carter center, invitato dallo stesso Maduro come garante dello svolgimento del voto, e dei risultati, ha dato piuttosto ragione al movimento “Piattaforma Unitaria” che ha sistematicamente raccolto i numeri dell’80 per cento dei seggi elettorali e concluso che il vero presidente, quello scelto dal popolo venezuelano, non è Maduro ma Gonzales. L’insediamento ufficiale è avvenuto venerdì scorso, con i sostenitori di Maduro chiamati a festeggiare e i dissidenti spaventati dal pugno duro dei poliziotti nelle ultime settimane e mesi. La stessa Machado è stata arrestata, interrogata e poi rilasciata negli ultimi giorni, casa della madre è stata circondata. Un misto di repressione e intimidazione, che pesa anche sulle manifestazioni pubbliche di dissenso. Gonzalo Himiob, fondatore del gruppo di monitoraggio Foro Penal, pensa che i cittadini stranieri finiti dietro le sbarre siano “pedine da scambiare”. L’agenda del successore di Chavez prevede richieste precise ai paesi di provenienza degli “ostaggi”, obiettivo rompere l’isolamento internazionale e ottenere il proprio riconoscimento come Presidente. I leader di sinistra, sudamericani come lui, di Brasile e Colombia hanno scelto di non avallare la truffa delle elezioni. In primis il brasiliano Lula. E l’uruguaiano Luis Almagro, Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani, ha chiesto ufficialmente il rilascio del genero di Gonzales, aggiungendo che «la comunità internazionale ha certificato Edmundo Gonzales come vincitore delle elezioni di luglio, cosa che il regime continua a non poter smentire con prove». Nel Paese c’è tensione per le celebrazioni di Maduro, mentre fervono i contatti tra il governo di Caracas e i governi dei cittadini incarcerati. Più o meno in segreto.