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 2025  gennaio 15 Mercoledì calendario

Apologia di Stefano De Martino

Per dare senso a questo pezzo basterebbero cinque parole (Stefano De Martino è bravo), ma siccome il mondo pretende che uno faccia del bla bla infinito e appiccicoso vi racconterò cosa succede di questi tempi a casa mia.
Di questi tempi a casa mia succede che attorno alle 10 del mattino mia moglie ci tenga a farmi sapere che lo show dei paccotti è andato benissimo in termini di ascolti. Non è che io ci tenga particolarmente, è proprio che lei me lo vuole dire. E lo fa pure con malcelato entusiasmo: «Oh, hai visto i pacchi? Han fatto 6 milioni! Tantissimo». Su «hai visto i pacchi?”» ogni volta mi girano perché è evidente che non stiamo parlando del mio. Cioè, in realtà neanche di quello di De Martino (spero), ché lei è proprio appassionata al gioco dei paccotti, quello che va in onda tutte le sante sere su Rai 1 e – porca miseria – trita record su record (lunedì sera ha toccato vette da 6,6 milioni di spettatori e il 30 per cento di share, robe da matti).
De Martino – dicevamo – è bravo e siccome tengo assai a mia moglie devo capire il segreto del suo successo per organizzare quello che oserei definire «contropaccotto» e lo devo fare tenendo presente che entrerò in sano ma netto contrasto con alcune teorie «grassiane», laddove «grassiane» è riferito ad Aldo Grasso, il numero 1 dei critici tivvù che, invece, pensa che il gioco dei paccotti fondamentalmente funzioni per i fatti suoi e che De Martino sia solamente uno che si piace moltissimo, tipo Valeria Marini quando canta e balla a caso. Per Grasso a dirigere il traffico ci potresti mettere chiunque e comunque il programma andrebbe benissimo e comunque a De Martino «mancano le basi, non sembra avere quella cultura mediale, quell’estro naturale che distinguono i modelli a cui aspira. Si limita a fare ciò che piace a tutti i costi, risultando eccessivamente accattivante». E ancora: «Al piacione piace proprio tanto piacere, ma proprio per questo di rado è genuino. La sua insistenza nel voler apparire accattivante lo rende, paradossalmente, spiacevole». Son pareri, per carità, noialtri dissentiamo abbastanza e buttiamo sul piatto le nostre teorie relative al successo dell’ambaradan.
1) Il gioco dei paccotti funziona per mille motivi, ma uno sopra tutti: siamo un Paese di malati di gioco. Non lo dico io, lo dicono le statistiche. Scommetteremmo anche la pensione di nonna, se non fosse che se l’è già scommessa lei. E, quindi, ogni sera osserviamo con voluttà il destino del giuggiolone di turno. Se vince le palanche fingiamo di essere felici per lei/lui, se invece se la prende in saccoccia godiamo sadicamente. «Io avrei accettato l’offerta del Dottore!» dice sempre mia moglie col dito alzato e curiosamente a cose fatte. E io: «Ma se prima hai urlato “vai avanti, vigliacco!”». E lei: «Ma non c’è la partita stasera? Vai a vedere la partita che qui c’è Stefano che sta parlando». (Lo chiama per nome, che fastidio).
2) Il gioco dei paccotti funziona perché – non giriamoci attorno – De Martino è gran paraculone nel senso buono del termine, sculetta come pochi, c’ha la battuta pronta, il sorrisetto piacione, ammicca, fa credere alla Casalinga di Voghera che in un’eventuale seratina in balera potrebbe anche finire con lui che la invita per un giro di mazurca. E il problema è che la Casalinga di Voghera potrebbe serenamente essere mia moglie che pure al suo fianco ha un manzo come il sottoscritto, ma quando quella maledetta telecamera insiste sul primo piano di De Martino lo vedi che le parte il friccicore. «Amore, ti è per caso partito il friccicore?». «No, sto pensando a cosa c’è dentro il pacco della Toscana». Ma lo vedi che invece sta pensando Campania.
3) Il meccanismo del gioco è semplice e infernale allo stesso momento. «Semplice» perché lo capirebbe anche un australopiteco (ci son dei pacchi, ad ogni pacco corrisponde una cifra più o meno succulenta, tu hai il tuo pacco e prega il Signore che sia quello buono), «complesso» perché dietro alle quinte il Grande Burattinaio e già sopracitato Dottore è in grado di far credere qualunque cosa e in un modo o nell’altro tiene vive le speranze di colossale vincita fino all’ultimo (e lo share s’impenna!).
4) Il concorrente di turno ha sempre qualcosa da raccontare e De Martino – evidentemente ben programmato dalla squadra autorale – alla bisogna tira fuori l’aneddoto, il segretuccio, la grande confidenza che commuove l’italiano medio o lo fa ridere a crepapelle. «Hai sentito? La povera Teresa del Molise ha perso tutto in una bisca clandestina e mentre usciva dalla bisca c’è stato un terremoto ed è arrivato uno tsunami che le ha spazzato via la casa con dentro tre gatti. Povera, speriamo che vinca i 300 mila fischioni». «Ma, amore, lo tsunami deve essere molto forte per arrivare fino in Molise, per me è una cazzata». «Pensa quello che vuoi, io credo a Stefano».
5) A contorno, musiche che te le raccomando, da Annalisa a Marco Mengoni, da un martellante Sesso e Samba alla micidiale Rossetto e Caffè di Sal da Vinci che «Bastaaaa! Che rottura di maroni ’sto rossetto e caffeeeééé! Ma come è possibile che piaccia a qualcuno!!!». E a quel punto mia moglie mi guarda come se le avessi detto che Imagine di John Lennon e Whisky il Ragnetto hanno la stessa dignità.
6) Alcuni concorrenti sono curiosamente piacenti quasi come De Martino, alcune concorrenti sono buone come il pane (solo che nel 2025 non si può più dire). Questa cosa innesca un traffico social devastante, in quell’universo di anonimato in cui ancora si può dire quello che si pensa davvero. Fragolina324: «Ammazza che manzo Pasquale del Piemonte». Arrapao3443: «Ma chi è ’sta Fata della Puglia?».
Si potrebbe continuare ma per fortuna lo spazio è finito e ci limitiamo a dire una banalità che, però, è anche grande verità: Affari Tuoi funziona perché da quando esiste la tv i «gettoni d’oro» fanno impazzire gli italiani, i giochi pure, le musichette anche, le storie strappalacrime figuriamoci, e se a mescolare il tutto ci metti un bravo chef, toh, il gioco è fatto. Stefano De Martino è bravo, appunto.