La Stampa, 16 gennaio 2025
Gratteri demolisce la riforma della giustizia
Il suo dissenso verso le ultime (non solo queste) riforme in materia di giustizia (sia quelle promesse che quelle già portate all’esame – e voto – dell’Aula), era noto e non lo ha mai nascosto. Dall’abolizione dell’abuso d’ufficio, alle limitazioni sull’utilizzo di strumenti per intercettare gli indagati («non lo dite a Nordio, ma ne abbiamo fatte 684 in più dell’anno scorso») e ai relativi appunti sui presunti costi eccessivi sollevati mesi fa dal ministro della Giustizia, poco o nulla si era “salvato” dal giudizio del procuratore di Napoli Nicola Gratteri. Certo fa effetto sentirgli dire in risposta al senatore Maurizio Gasparri, in Commissione parlamentare antimafia, che «molte riforme che state facendo non servono a nulla». Testuale: «Voi state perdendo tempo, avete fatto riforme che rallentano il lavoro di procure e tribunali». Ancora: «Ci state solo facendo perdere tempo e le parti offese, la gente che denuncia, avrà giustizia in ritardo».L’audizione è di ieri pomeriggio e seguendo le due ore di j’accuse a tutto ciò che non funziona verrebbe da dire che giustizia è (s)fatta. Perché quella del capo dei pm della procura più grande d’Italia è stata un’infilata di affondi. Non solo contro le riforme – con la premessa «che il cane con le gambe storte nasce col governo dei migliori (esecutivo Draghi ndr)» – ma sulla gestione delle carceri, sul personale in forza negli uffici giudiziari, sugli investimenti legati alla tecnologia nel contrasto a criminalità e mafie.
Nel mazzo delle critiche di Gratteri è finito il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria “reo” di aver in primis firmato con 11 mesi di ritardo” un protocollo stipulato tra procura di Napoli e medicina legale dell’Asl Napoli centro per intervenire con tempestività sugli strani casi di detenuti “scivolati” dalle scale del carcere. Ma il fatto, pur singolare, è la chiave per aprire il discorso sul 41 bis, il regime penitenziario più duro riservato soprattutto ai capimafia. Per Gratteri è stato sostanzialmente svuotato, «ridotto quasi a uno slogan» negli ultimi anni. Il capo dei pm di Napoli ha invitato i componenti della commissione a utilizzare «tre dei vostri ricercatori» per studiare «quante circolari – e quindi quante diverse interpretazioni alcune a dire il vero fantasiose – sono intervenute in anni e anni sull’applicazione del 41 bis e se queste interpretazioni sono intervenute nella prospettiva delle maglie larghe e non già del rispetto ortodosso del regime penitenziario in questione che nasce per creare un isolamento autentico, pieno tra il mafioso e il mondo esterno». Un ulteriore invito ai commissari farà discutere: «Chiedete al Dap perché tutti i capimafia della camorra sono detenuti nello stesso carcere a Secondigliano invece di mandarli a mille chilometri di distanza da casa».
L’esempio portato dal procuratore è quello di Napoli, ma i numeri sono sovrapponibili a qualsiasi altro ufficio giudiziario italiano. «Abbiamo 1.440 richieste di misura cautelare, di cui più di mille per reati di mafia, in attesa all’ufficio gip, composto da bravissimi magistrati ma sottodimensionato. Se immaginiamo che per circa 700 insiste un pericolo di fuga, il dato è preoccupante. Mancano i cancellieri perché vengono pagati meno di un dipendente di un Comune di 3 mila abitanti». Buchi di organico anche «sulla la polizia giudiziaria per trascrivere le intercettazioni». Quindi? «Questi dati positivi l’anno prossimo non potrò darli. Il 29 novembre ho scritto al Csm evidenziando che a breve perderò sette magistrati. Ho parlato personalmente con alcuni componenti del Csm incontrati per caso, ho chiesto di essere sentito in commissione. Mi è stato detto che in tutta Italia è prevista una scopertura del 10%. Ma che ragionamenti sono? Napoli non può essere trattata come Macerata, Larino, Vasto. A Napoli c’è la terza guerra mondiale. Il Csm aveva deciso di non mandare altri magistrati a Napoli, ora forse ne arriveranno tre a fronte dei sette che andranno via».
Ma quello di Gratteri è stato soprattutto un allarme lanciato contro le armi “spuntate” verso il nuovo e più drammatico scenario dello sviluppo delle mafie, cioè il darkweb: «Abbiamo ascoltato – ha detto– un indagato mentre acquista 2 tonnellate di cocaina. Il fenomeno esploderà e in ogni Squadra mobile e in ogni reparto dovrebbero essere assunti specialisti, ingegneri informatici, ma non a 1.500 euro al mese. C’è bisogno di investire e non mi parlate di costi perché la settimana scorsa con una sola indagine durata due mesi, a Napoli, abbiamo sequestrato 35 milioni in Bitcoin che sono già a disposizione del Fondo Unico per la Giustizia. La verità è che sul darkweb non siamo attrezzati: chiunque è in grado di bucare la rete della pubblica amministrazione, in particolare quella del ministero della Giustizia. Abbiamo arrestato un hacker che poteva iscrivere Gratteri o chiunque altro per mafia alla procura di Milano o cancellare il procedimento. Rubando centinaia di password aveva in mano il dominio di tutte le procure italiane».