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 2025  gennaio 15 Mercoledì calendario

Biografi a di Diego De Silva

Diego De Silva ha l’aria mite del compagno di scuola che si innamora della più bella del liceo ma non ha bisogno di confessarglielo, è lei che fa il primo passo. «A Malinconico succede così con le donne», dice lui e strizza le palpebre dietro gli occhiali bordati di verde.
Vincenzo Malinconico, l’avvocato protagonista dei suoi libri. Da due anni è diventato una serie tv di Rai 1. Sembrerebbe il suo alter ego...
«Caratterialmente siamo molto simili. Anche Massimiliano Gallo, che lo interpreta, ha diversi punti di coincidenza con me».

Però?
«Nessun però. Io prima di scrivere facevo l’avvocato come Malinconico. L’ho fatto per una decina d’anni».
Poi che cosa è successo?
«Nulla, non d’improvviso perlomeno. Piano piano mi sono reso conto che in tribunale osservavo gli altri passarmi davanti agli occhi. Guardavo gli eventi da fuori, elaboravo».
E poi?
«Tornavo a casa e scrivevo. L’ho fatto per dieci anni».
Di lavorare e scrivere insieme?
«Sì, la mattina mandavo in tribunale la controfigura di me stesso. Il pomeriggio, un po’ come Penelope, disfacevo quello che avevo fatto e scrivevo».
La controfigura di se stesso? Che vuol dire?
«Andavo in tribunale senza convinzione, per osservare, appunto, quello che succedeva intorno».
Quando ha capito che la scrittura sarebbe diventata il suo mestiere? In quelle mattine in tribunale?
«Non proprio. La verità è che ho fatto un salto nel buio quando ho lasciato la professione di avvocato per scrivere. Anche se...».
Cosa?
«La scrittura mi era entrata dentro da bambino».
In che modo?
«Per via di quel pappagallo».
Che pappagallo?
«Battista, il pappagallo dei miei nonni».
Cosa ha fatto Battista di così straordinario?
«È morto, tra urla strazianti».
Povero Battista, ma cosa c’entra?
«Quel pappagallo è stato il mio primo contatto con la morte. Ero vicino a mia nonna mentre agonizzava. Ho visto la sua vita uscire piano piano dal suo corpicino. Ho sentito il suo respiro diventare sempre più faticoso».
Poi la nonna l’ha presa per un braccio e l’ha portata nell’altra stanza?
«No, sono rimasto vicino alla gabbia fino alla fine».
E ha pianto?
«Ho preso un quaderno. E d’istinto ho cominciato a scriverci sopra quello che avevo visto. Una specie di referto, lo definisco oggi».
Quanti anni aveva?
«Sette, otto, ero alle elementari. È stato il mio maestro a farmi capire che avevo scritto qualcosa di eccezionale. Aveva lo sguardo incantato dopo aver letto il mio racconto».
Dalla morte però è diventato l’amore il filo rosso dei suoi romanzi...
«Dalla morte sono passato all’ironia di Malinconico. Quindi l’amore».
Molto importante è però l’amore, anche quando riguarda l’avvocato un po’ azzeccagarbugli.
«Certamente. Ma con Vincenzo Malinconico alla fine si ride. Ho sempre amato i libri che facessero anche ridere. Uno dei miei preferiti è Il giovane Holden. Pure Martin Eden».
Come Martin Eden ha dovuto fare il giro delle case editrici per farsi pubblicare il suo primo romanzo?
«Non esattamente. Certi Bambini lo avevo mandato alla Mondadori, Antonio Franchini però non lo ha voluto».
«Certi bambini»? Un libro pluri premiato, da cui è stato tratto un film...
«All’Einaudi Dalia Oggiaro lo ha capito subito che era un libro da pubblicare. Il manoscritto è arrivato sulla sua scrivania e lei mi ha telefonato dopo venti minuti».
E Antonio Franchini?
«Dopo ha rilasciato qualcosa come venticinque interviste per dire che si era pentito di quel rifiuto. Comunque Certi bambini non era il primo romanzo».
Qual’è stato invece?
«Si intitola La donna di scorta, è rimasto all’angolo fino a quando non l’ha ripubblicato Einaudi. Lo aveva fatto una piccola casa editrice che si chiama Pequod».
Lei poi è sempre rimasto con Einaudi?
«Sì, ho lavorato altri cinque anni con Dalia Oggiaro, poi non mi sono più mosso. Sono uno dei più vecchi autori di Einaudi. Ormai è diventata casa mia».
Dice che Vincenzo Malinconico le assomiglia abbastanza. Possiamo dire che Fosco è invece proprio il suo avatar? Che «I titoli di coda di una vita insieme», il suo ultimo romanzo, è una storia autobiografica?
«In effetti io ho avuto una storia d’amore importante che è finita un paio d’anni fa, circa».
Come quella di Fosco con Alice...
«Beh, sì».
La signora in questione lo ha letto questo libro?
«Sì».
Avete commentato?
«Non sono volati i coltelli, fortunatamente. Non è un libro autobiografico fino a questo punto».
Fino a quale punto lo è ?
«La parte autobiografica è la seconda, quella dove Fosco e Alice vanno nel paesino dell’infanzia di lui».
Quel paesino dove Fosco cerca la crepa della fine della storia d’amore?
«Una crepa che non c’é».
Perché, come scrive lei, l«’amore è discreto nel morire, non si lamenta e non fa scenate...».
«Avevo bisogno di trovare parole letterarie per raccontare la fine del loro amore. Ho fatto un lavoro sulla sintassi dell’addio».
Cosa vuole dire?
«C’è bisogno di letteratura per sopravvivere quando si finisce in tribunale per separarsi. È uno dei momenti più difficili della tua vita ma vieni raccontato da un linguaggio scadente e riduttivo. Mortificato dalla burocrazia. La legge non sa niente del dolore, dei sentimenti».
Lei invece li conosce e li racconta bene, i sentimenti. Per questo i suoi libri catturano tante lettrici. Ha rapporti diretti con loro?
«In occasione delle presentazioni».
Non di altro genere?
«Per anni su Twitter, poi ho lasciato questo social quando lo ha comprato Elon Musk. Instagram lo uso più che altro per informarmi e fare promozione».
Malinconico è arrivato alla sue seconda stagione e sta spopolando in prima serata su Rai1. A cosa si deve questo successo secondo lei?
«Malinconico ha un senso del ridicolo molto sviluppato. Sembra un vincente, ma poi alla fine perde perché va fuori tempo».
Fuori tempo?
«Desidera sua moglie quando lei non lo vuole. Poi lei lo vuole e lui sta con un’altra. Anche io al liceo andavo sempre fuori tempo. La mia generazione è sempre un po’ fuori dalla vita, un po’ fuori posto. Ci sentiamo a disagio come mariti. Come padri».
Lei ha figli?
«Una figlia di venticinque anni».
Un buon rapporto?
«Sì. È importante però dire che il rapporto che abbiamo oggi noi con i nostri figli è complicatissimo. Nella generazione dei nostri genitori che ci voleva a essere padri? Si rapportavano con i figli con le regole che c’erano, non facevano altro».
La sua generazione invece?
«Siamo tutti figli del Sessantotto, abbiamo un rapporto tale che l’affetto, la stima, l’autorevolezza ce le dobbiamo conquistare ogni giorno. Ogni giorno ci mettiamo in discussione».
Nella pagina di apertura del suo ultimo libro ha scelto di mettere in evidenza le parole di Elsa Morante: «La frase d’amore, l’unica è: “Hai mangiato?».
«Non credo ce ne fosse una migliore».