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 2025  gennaio 14 Martedì calendario

Treni, non si investe sui nodi: dal Pnrr progetti di 40 anni fa

Roma Termini, ore 10 di ieri. Sul tabellone delle partenze si accumulano impietosi i ritardi: 90 minuti per il Frecciarossa che va a Venezia, 80 per l’Italo che va a Torino, 60 e 100 per altre due Frecce per Bolzano e per Milano. L’ennesima giornata infernale per i viaggiatori sia sulla dorsale adriatica sia su quella tirrenica. Con effetto domino sulle linee convenzionali e su mezza Italia. Con il Frecciarossa 8814 (Lecce-Milano) in forte ritardo per un guasto a un passaggio livello. E stessa storia (più di 60 minuti) per il Taranto-Torino. Mentre sulla linea tirrenica per un altro guasto nei pressi di Gricignano (Caserta) si accumulano fino a 120 minuti in più sulla tratta Roma-Napoli e vanno in tilt anche Eurocity e Intercity, per problemi alle linee o interventi di manutenzione.
Negli scorsi giorni è stata Europa Radicale a dare conto del disastro con un dossier che ha preso in esame il trimestre ottobre-dicembre 2024: oltre 16.500 treni su 22.865 monitorati hanno registrato in totale 4.261 ore di ritardo. Numeri ormai noti. Però non è solo una questione di cantieri. Per esempio quelli per le opere del Pnrr (se ne contano 1.200 ed è questa la giustificazione ancora una volta addotta dai vertici del gruppo Fs) alcune delle quali, tra l’altro, tirate fuori dai cassetti dove stavano chiuse da decenni. “Progetti che andavano bene 40 anni fa, riesumati per soddisfare campanilismi, come la Mantova-Cremona, con la linea chiusa da un anno e ce ne vorranno altri sei”, dice Dario Balotta, di Europa Verde. La questione è molto più semplice e al contempo più preoccupante, perché conosciuta dai tecnici da anni. “Da almeno tre lustri si sa che bisogna investire sui nodi dove si concentra il traffico: invece si fanno nuove linee”, spiega Andrea De Bernardi, ingegnere, per due anni dal 2017 al 2019 consulente della struttura tecnica di missione del ministero dei Trasporti. “Gran parte dei limiti di capacità stanno lì, nei nodi all’ingresso delle stazioni – prosegue De Bernardi –. Un problema molto noto ai tecnici e di cui scrissi nella nota aggiuntiva al Def nel 2017. Abbiamo pezzi di rete sotto forte stress perché utilizzati intensamente e basterebbero investimenti relativamente contenuti per risolvere il problema. Parliamo di decine o di alcune centinaia di milioni di euro per interventi che dovrebbero essere la priorità. E invece si continua a discutere della Salerno-Reggio Calabria, che comunque non si potrà mai fare, senza attenzione per la manutenzione e per i nodi”.
Tutto sui tavoli del ministero da tempo, che in quel periodo, sei anni fa, varò anche lo studio di un cambio dei sistemi di controllo della circolazione su Milano, Roma e Firenze. Un piano mai realizzato. Poi, gira e rigira ci si trova di fronte agli stessi problemi, tra linee sotto stress, inefficienza e disorganizzazione, mentre si parla (appunto) della Salerno-Reggio Calabria: un progetto da 12 miliardi che prevede 120 chilometri di gallerie. Per i vertici ministeriali (Matteo Salvini continua a tacere sui ritardi) i convogli in circolazione sarebbero troppi e andrebbero tagliati del 15%. Un’ipotesi sulla quale si è di fatto subito allineato il gruppo Fs. Prima dicendo che d’intesa con il Mit sta attuando azioni per il miglioramento del servizio. Poi, spiegando che “l’incremento del numero di treni e passeggeri degli ultimi anni ha comportato la necessità di un ulteriore sforzo di razionalizzazione. Per questo motivo il gruppo Fs sta studiando alcune misure per ottimizzare l’offerta e mitigare gli effetti negativi sul servizio, con particolare attenzione alla gestione delle tratte ad alta densità, caratterizzate da treni non sempre pienamente occupati”. Che tradotto significa una sforbiciata. Ma per Balotta “il punto è che ogni governo fa spoils system e cambia i vertici di Fs nominando persone che non hanno le competenze adeguate. Salvini dice che si spendono pochi soldi. In realtà da tempo il gruppo destina 7 miliardi all’anno alla spesa corrente, altri 6 agli investimenti. Solo che questi soldi vengono spesi malissimo. E più l’azienda è inefficiente e più investe in addetti stampa e in comunicazione per crearsi uno scudo e coprire le magagne”. Poi c’è la questione dell’accentramento delle funzioni e della riduzione del numero degli addetti. “Ai vertici pensavano di reggere la botta con le nuove tecnologie, ma non è stato così – dice Balotta – Adesso se si verifica un guasto a Desenzano il tecnico arriva o da Verona o da Brescia e deve macinare chilometri prima di giungere a destinazione”.