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 2025  gennaio 14 Martedì calendario

Biografia di Marco Giallini

Marco Giallini era nel film di Stefano Sollima, Acab. E torna nella serie di Michele Alhaique che lascia il segno, da domani su Netflix. Il personaggio che interpreta, Mazinga, sta da una vita in polizia, nel Reparto mobile. Crede nell’uso della forza, è un capobranco quando urla in faccia a Michele Nobili (Adriano Giannini), il poliziotto di un’altra scuola: «Roma non indietreggia, non arretra mai, non si nasconde. Oggi ci hai mandato indietro come i gamberi: lo vuoi capire che la piazza non è quella che c’hai in testa tu?». Il libro di Carlo Bonini vive una nuova vita, Sollima ricorda l’accoglienza del film. «Erano tutti contro, solo per il titolo. Prima che uscisse siamo stati contestati dalla Polizia e dai centri sociali. Alla presentazione a Milano io e Bonini fummo scortati». Realistica nei dialoghi e nelle scene più cruente, ma anche nelle riflessioni dei poliziotti: al Viminale nessuno ha visto la serie.
Giallini, come ricorda il film?
«Acabper me è stato un film strano.
Era ancora viva Loredana, mia moglie. Mi ricordo la scena all’Olimpico, lei era con i bambini.
Mio figlio mi ha fatto rivedere le foto: lui col casco diAcab e la maglietta dei Beatles, avrà avuto 4, 5 anni».
Mazinga è cambiato?
«Mi sono appoggiato poco a quel personaggio, è come se lo avessi ritrovato ex novo: oggi è un altro».
Che ha pensato degli scontri per la morte di Ramy?
«A San Lorenzo ci ho passato tutta la vita, compravo i dischi a via degli Etruschi, da Disfunzioni musicali, poi è morto tutto ciò che era vivo. Come le edicole. Fuori, giocattolini cinesi, o toscani calabresi e laziali, voglio dire, non c’è più nulla. Ma di che stavamo parlando?».
Degli scontri.
«Ognuno fa il suo lavoro, sperando che sappia farlo bene. Per necessità si diventa peggiori, quando si è toccati nel profondo la reazione non la conosci mai e Mazinga è lo specchio di questo. Il lato animale che ci contraddistingue viene fuori».
Le scene più dure di “Acab”?
«La più difficile, a livello fisico, la prima battaglia in Val di Susa. Lo stuntman l’ho usato poco. Pierluigi Gigante, che ha 25 anni meno di me, èsvenuto. Piovevano sampietrini in testa, bottiglie: capisci tutte e due le fazioni e sì, ti difendi. Poi c’è il deficiente che dà manganellate, a prescindere. A livello di cuore ce ne sono state più di una. Mazinga non ha rapporti con il figlio, è un uomo solo, ma ha la sua squadra».
Le è mai capitato di trovarsi negli scontri?
«No. E mi dispiace che tanti giovani siano morti inutilmente. Per un periodo ho seguito Pannella, all’inizio Capanna perché lo votava mio fratello. Mai pensato che la violenza risolva le cose, forse perché inperiferia, dove abitavo, la vedevo. Si picchiavano i figli, non a casa mia».
Suo padre com’era?
«Ne parlo sempre. Non ha mai alzato le mani, era bello come il sole, operaio con pochi soldi. Non ha mai riversato la sua presunta – almeno da me – frustrazione su di noi, eravamo quattro figli. Allora il rapporto tra lo stipendio di un operaio e un direttore di banca era: 300 mila lire contro 4 milioni. Ma sentivo la violenza dove abitavamo, le grida».
Mai una rissa da ragazzino?
«Si faceva a botte per la supremazia del campetto, ti sfinivano e dicevi:
“Hai rotto i coglioni”, niente di che».
Il rapporto con i social?
«Parla gente che invece di influenzare dovrebbe andare a scuola. Come avrebbe detto mio padre: “Se vai a scuola qualcosa impari”. Oggi, da casa, si influenza su destra, sinistra, polizia, manifestanti. Capiscono? No».
Questo governo le fa paura?
«No, ma non è roba mia. Mi pare che non cambi nulla con qualsiasi governo. Certo, ci stanno restrizioni che mi fanno pensare quanto si incide sulla vita della gente».
Cosa desidera?
«Che siano felici i miei figli, Rocco e Diego. Rocco si mise a piangere quando Denzel Washington moriva nel finale diMan on firedi Tony Scott, bravo regista, sottovalutato rispetto al fratello. Sono stato malissimo, ho capito che se la passava male».
Ha capito che è sensibile.
«Eh, ma complica le cose».
È soddisfatto di sé?
«Molto. Ho la stima dei figli e della gente, quella poca che incrocio per strada e che, a seconda dell’età, mi vede come figlio o come nonno».
Le donne?
«Sono arrivato in Argentina per girareRocco Schiavone e una è mezza svenuta. Il giorno dopo mi ha portato una torta col cuore. L’ho invitata sul set insieme al marito».
Continua a piacere.
«Mah. Sono rimasto a quando orde di donne mi assalirono a Mantova: “Ma se ero bello che facevate?”».
Schiavone è rimasto anarchico?
«Anche lui è un poliziotto sui generis, la nuova serie andrà ad aprile. Mi sento molto vicino al personaggio, all’inizio non volevo interpretarlo.
Tinny Andreatta era in Rai e si ricorda quando non lo volevo fare, ebbi un’intemperanza e lei mi fulminò: “Tu sei Schiavone”».