il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2025
Ecco perché sarà difficile fare a meno di “SpaceX”
“La resistenza è inutile, sarete assimilati”. Sono parole importanti nell’immaginario interstellare, perché pronunciate dai Borg, la specie cyborg di Star Trek. E descrivono abbastanza bene il ruolo di SpaceX nell’economia dello spazio nel 2025. Per capire le mosse di Elon Musk e la sua influenza politica, bisogna infatti partire dal successo schiacciante del suo progetto.
L’azienda fondata da Musk nel 2002 domina la cosiddetta “economia dello spazio”. Con quest’espressione, in voga presso istituzioni internazionali e banche d’affari, si indica la crescita dello spazio come mercato, oltre le sue tradizionali funzioni di servizio per i governi. Un’economia dello spazio è resa possibile proprio dalla realizzazione delle tesi di Musk. Quali? In primo luogo, Musk ha capito che le possibilità dello spazio erano legate all’abbattimento dei costi di lancio e quindi alla riusabilità del vettore. Quando SpaceX è giunta alla riusabilità, ha potuto realizzare economie di scala che nessun altro attore della storia dell’esplorazione spaziale ha sfiorato, un vantaggio soverchiante rispetto ai concorrenti. In secondo luogo, SpaceX è un’azienda manifatturiera integrata, dove la produzione risponde a esigenze di efficienza e non a equilibri politici per cui un componente deve venire da un’azienda di un certo territorio e un componente da un’altra, per accontentare un’altra zona. In questo senso, SpaceX è un’azienda meno “politica” rispetto alle altre sia negli Stati Uniti che in Europa. I finanziamenti dello spazio vengono storicamente da soldi pubblici, ma SpaceX ha ottenuto lauti contratti per fare cose che gli altri non sanno fare, realizzarle in tempi che gli altri non garantiscono e impiegando dunque in proporzione meno denaro pubblico.
Nel successo di SpaceX, le intuizioni di Musk si sono fuse con la capacità di esecuzione della presidente e direttrice operativa Gwynne Shotwell, che è nell’azienda dal 2002 ed è tra le manager più capaci al mondo. Secondo le ultime valutazioni, SpaceX vale circa 350 miliardi di dollari, quindi poco meno della metà dell’intera borsa italiana e più di ogni altra azienda della difesa al mondo, nonostante la crescita di tutto il comparto per le esigenze belliche degli ultimi anni. Qualche numero. Secondo Shotwell, nel 2024 il 90% circa della massa portata in orbita dall’umanità è passato per SpaceX. L’azienda ha effettuato oltre 130 lanci orbitali nel 2024 e punta a crescere a 180 nel 2025. La Cina nel 2024 ha lanciato 68 volte, mentre l’Europa si è fermata a 3: l’operatività di Ariane 6 e Vega C porterà a una crescita di quest’ultimo, penoso, numero, ma senza possibilità di competere coi cinesi e SpaceX.
L’enorme capacità dell’azienda di Musk conduce a tre processi: 1) l’aumento della sua base produttiva, con investimenti sempre più consistenti in Texas; 2) lo sviluppo commerciale di Starlink: economia dello spazio come fornitura di servizi per i clienti, per fare più soldi e avere un ruolo crescente nelle comunicazioni globali; 3) la sicurezza nazionale, tema essenziale: l’evoluzione di Starlink in Starshield, servizio di connettività volto a soddisfare le esigenze dei governi, in primo luogo quello degli Stati Uniti, e la stessa considerazione dello sviluppo di SpaceX come questione di sicurezza nazionale, perché porta sulle sue spalle sempre più larghe il primato di Washington su Pechino in ambito spaziale.
La scommessa vinta da Musk col sostegno a Trump amplifica ulteriormente questi tre punti: costruire e lanciare più facilmente, col controllo del sistema autorizzativo; fornire Starlink e Starshield con una sorta di “bollino politico” Usa e non solo come azienda privata. Aziende tecnologiche vicine al trumpismo come Palantir e Anduril dicono di essere al servizio dell’Occidente. Pertanto, la stessa SpaceX si proporrà sempre più a diverse configurazioni (anzitutto l’alleanza spionistica dei Five Eyes e la Nato) in cui gli Stati Uniti sono già l’indiscusso punto di riferimento per la sicurezza.
Ogni ragionamento sul ruolo di SpaceX in vari Paesi, tra cui l’Italia, deve partire da questo contesto, altrimenti si rischia di fare chiacchiere inutili. Il ritardo rispetto al sistema statunitense è netto, visto dall’Europa. Consideriamo due eventi del 2024: il sistema europeo Galileo è stato lanciato coi razzi di SpaceX, perché i lanciatori europei non c’erano; il fondo statunitense Kkr ha acquistato poco meno del 30% di Ohb, la principale azienda spaziale tedesca (l’azionista di maggioranza è la famiglia Fuchs). Episodi che quasi nessuno ha considerato, perché non era ancora stato eletto Trump. Ma se gli europei non possiedono capacità di lancio e finanza in grado di sostenere le loro imprese, non possono essere “sovrani”, se non appunto a chiacchiere. Considerando la sovrapposizione di autorità e i diversi interessi tra Stati (come i litigi degli ultimi anni tra Parigi e Berlino), si può essere quasi certi che la tempistica della costellazione europea Iris2 sarà più lunga di quella, ottimistica, della fine del decennio. SpaceX si trova in un’altra posizione: i suoi prodotti non esistono solo in teoria.
L’azienda di Musk non è impensierita da un’improbabile concorrenza europea, ma considera l’Europa un mercato in cui aumentare in modo aggressivo i ricavi e farlo al più presto, viste le aspettative di chi ha investito in SpaceX con un’enorme valutazione. Il cammino dell’azienda verso un monopolio più netto dipenderà dal fronte interno: da Bezos, dal difficile rilancio di Boeing, da eventuali nuovi attori, dai propri errori. Inoltre, come notato dal sito Astrospace, proprio l’influenza politica di Musk nell’era trumpiana impedirà a SpaceX di utilizzare in futuro i ritardi autorizzativi come scusa per i ritardi nei progetti.
Certo, la situazione per gli europei potrebbe migliorare con una rivoluzione del governo dello spazio in Europa, pieno di ridondanze e sovrapposizioni, con la riduzione dell’equilibrio geografico, con l’ingresso di una reale capacità finanziaria privata europea. Tutto ciò sarà realizzato con tempi adeguati? A mio avviso no, ma devono essere i governi e gli apparati degli Stati a indicare le loro esigenze operative, sulla base degli interessi nazionali vitali, delle possibili diversificazioni e complementarità e di quanto si è disposti a spendere. Ogni scelta di “sovranità”, che sia italiana, europea, transatlantica o planetaria, non è mai un pasto gratis.