Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2025
Casa Bianca, la rivincita di Trump. Già pronti 100 decreti esecutivi
Cento decreti pronti alla firma. Ha scherzato, ma non troppo, Donald Trump dicendo che potrebbe portarsi una scrivania anche sulla gradinata del Congresso, così da non perdere tempo, dopo la cerimonia in cui giurerà come 47° presidente degli Stati Uniti.
Il leader della nuova destra populista e nazionalista vuole accelerare la sua agenda, firmare documenti di governo ancora prima di entrare davvero alla Casa Bianca: Trump potrebbe far scattare immediatamente, già il 20 gennaio, almeno 25 diktat, incentrati su quelle che considera priorità. Provvedimenti anti immigrazione e controlli più severi, se non chiusura totale, dei confini. Ma anche deregulation e trivellazioni per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio, «drill baby drill».
Dopo la vittoria elettorale, ecco dunque la rivincita politica: quasi una vendetta per cancellare l’amministrazione democratica di Joe Biden, che per quattro anni lo ha costretto lontano dal potere.
Il nazionalismo populista e conservatore inizierà – secondo le indiscrezioni – dalla politica interna, mentre per i primi atti ufficiali di politica estera e commerciale servirà qualche giorno. Trump si è però già preso da settimane la scena internazionale: le minacce sui dazi, come le esternazioni (da imperialismo militare) su Canada, Groenlandia e Panama, hanno già fatto capire ad amici e nemici che il mondo dovrà fare i conti con America First, con la sua nuova America.
Il presidente repubblicano farà il suo ingresso alla White House con programmi più radicali e già definiti, da realizzare con una squadra che ha scelto badando (in modo maniacale, tra cene a Mar-a-Lago e test di attitudine) alla fedeltà assoluta più che alla capacità e all’esperienza di ministri e collaboratori. Non come nel primo mandato quando dopo un cupo discorso di debutto sulla «carneficina americana» si era affidato a nomine più legate all’establishment, trovando poi ostacoli e dissensi interni sulla sua strada.
In questo nuovo inizio fanno eccezione le nomine di alcune figure di peso in economia e politica estera: da Scott Bessent al Tesoro a Marco Rubio al dipartimento di Stato. E su queste contano i leader mondiali, soprattutto in Europa, per attenuare le tensioni con Washington nei prossimi anni.
«Dobbiamo lasciare il segno, fin da subito», ha confidato il tycoon ai suoi collaboratori. I decreti da firmare nel day one, sono stati passati in rassegna assieme al vicecapo del suo staff Stephen Miller (la mente di molte iniziative) in un incontro con i senatori repubblicani. La maggioranza nelle due camere del Congresso sarà determinante nella prima fase della nuova presidenza.
Sui migranti l’obiettivo è «chiudere il confine», forse ripescando il Title 42, usato durante la pandemia, per accelerare con ragioni di salute pubblica le espulsioni. Trump potrebbe decretare l’uso anche di polizie locali contro gli immigrati, rilanciare la costruzione del muro con il Messico e costruire campi di detenzione per gli irregolari. Più allarmante ancora, almeno per la storia americana, l’idea di cancellare il diritto costituzionale alla cittadinanza a chiunque nasca negli Stati Uniti. Ma tutto può servire per cacciare milioni di immigrati nella «più grande espulsione della storia».
Sull’energia scatteranno ordini per la produzione da fonti fossili, con il via libera a nuove trivellazioni su terreni federali e il congelamento di regolamentazioni ambientali.
Già pronte anche le riforme del governo. Trump intende bloccare le assunzioni federali, accorpare uffici e sedi, obbligare al ritorno in ufficio i dipendenti pubblici: in linea con la lotta alla burocrazia annunciata dal fidato Elon Musk. Per rompere anche simbolicamente con la cultura progressista, la nuova destra al potere vuole inoltre eliminare, nell’amministrazione come nelle scuole, programmi e norme contro il razzismo, l’inclusione, la diversità di genere.
Wall Street si attende una semplificazione dei controlli sulle attività finanziarie e un decreto a sostegno dell’ultima passione di Trump: le criptovalute. Molti big della tecnologia e non solo si sono già inchinati a Trump, sperando in regole meno rigide anche dall’antitrust. In economia «la promessa che sarà mantenuta» è la riduzione drastica delle tasse, un vasto pacchetto questo da far varare al più presto in Parlamento, assieme o a fianco di inediti fondi per la sicurezza.
Ma sono i dazi al commercio – per le finanze pubbliche, per la protezione dell’industria nazionale e per la leadership globale – la base dell’azione di Trump: sanzioni, arma negoziale, minaccia strategica soprattutto contro la Cina (fino al 60%) ma anche contro l’Europa (all’interno di una tariffa universale all’import del 10% o 20%). Alcuni repubblicani, con maggior flessibilità, preferirebbero misure mirate a settori cruciali, come tech, energia e difesa.
Con Xi Jinping, così come con Vladimir Putin o con i leader europei, è facile immaginare che Trump scommetterà su una sorta di diplomazia personale. Unita a un approccio muscolare, anche nelle guerre in Ucraina e in Medio Oriente: il nuovo presidente incontrerà presto Putin e insiste sulla «massima pressione» sull’Iran, per mettere fine ai conflitti.
Trump eredita da Biden un’economia americana in salute e ha oggi dalla sua il consenso popolare e il Congresso. Sulla scena internazionale il suo attivismo, fuori dagli schemi, promette risultati. Ma i rischi di destabilizzazione sono forti.
Come la seconda era Trump segnerà l’America e il mondo è un interrogativo più aperto che mai.