la Repubblica, 12 gennaio 2025
Intervista ai Pinguini Tattici Nucleari
Si chiamano come una birra, perché è seduti in un pub della loro Bergamo che è cominciato tutto. Ma a dispetto del nome e della loro natura, i Pinguini Tattici Nucleari sanno volare: negli stadi dal 7 giugno, in classifica conIslanda, addirittura già certificati disco di platino dopo un mese con l’ultimo album Hello world. Roba da rapper con il vento in poppa, non da band di sei trentenni in giro dal 2010, che fa pop ispirandosi a Max Pezzali e ai Coldplay, passata dai club a Sanremo e alle arene un po’ alla volta. E sempre suonando.
«Evidentemente il pubblico vuole un’alternativa», dice Riccardo Zanotti, frontman e faccia da bravo ragazzo.
C’è chi ha parlato della “rivincita dei buoni”.
«”Buoni” è un parolone. Gli altri giocano ai cattivi, noi siamo persone qualunque, che al posto di usare l’autotune si prendono rischi in più ma senza voglia di prevaricare, o fare dissing».
Ha seguito la polemica sulla presunta violenza dei testi rap?
«Amo il rap e c’è spazio per tutti.
Non è una gara. Però l’iperrealismo crudo di alcuni testi va bene fino a un certo punto: non sempre le persone hanno gli strumenti per capire che è finzione, a 13 come a 60 anni. E poi la musica, nel nostro caso, ha il dovere di astrarsi, dare speranza, immaginare un mondo migliore. O almeno il pop, che è sempre meno».
Siete animali in viad’estinzione?
«In classifica sì: noi, Calcutta, Ultimo; pochi altri. Sarebbe belloavere più tutele, è un tema che vale anche per i testi “offensivi”. La democrazia nasce per proteggere le minoranze: a santificare la maggioranza sono capaci tutti».
Come non si diventa schiavi dei numeri?
«Ogni tanto la coda dell’occhio va sulle statistiche, ma sempre meno.
Tanto c’è mamma a riferirmi dove siamo in classifica».
Che dicono i suoi?
«Aspettano che finisca, come prima aspettavano che cominciasse: è una cosa bergamasca».
E pensi che Bergamo è la migliore città italiana per qualità della vita.
«Perché siamo apotropaici: troviamo la felicità anticipando le paure, così da esorcizzarle».
Lei ha paura che finisca?
«Potrebbe piovere da un momento all’altro, fa parte del gioco.
Abbiamo realizzato il nostro sogno costruendolo dalle fondamenta.
Ora siamo al tetto, i concerti negli stadi. Poi arrederemo casa. Serve farsi trovare pronti».
Le basi da dove arrivano?
«Da anni di concerti, dovunque.
Una sera, agli inizi, a Grosseto ci saranno stati quattro spettatori».
Eravate di più sul palco.
«Ma abbiamo imparato tanto. Per esempio, a coinvolgere il pubblico, a farlo divertire nonostante una situazione imbarazzante. Far fare i cori a 50mila persone è più facile che a quattro».
Quindi più semplici gli stadi dei locali vuoti.
«Sono diversi.
Negli stadi le aspettative sono alte e l’ansia, anche di una stroncatura, divora. Ma esserci arrivati un po’ alla volta aiuta».
Dicono che siete gli eredi degli 883.
«Max Pezzali è unamico, tra provinciali ci si riconosce. La prima volta ci invitò a cena nel 2018: noi perfetti sconosciuti, lui una star. Abbiamo scoperto una persona umile e aperta alla vita. Un buono. Io invece sono un malfidato: ho paura che qualcuno mi freghi».
Vi vedete ancora al pub?
«Difficile, c’è un grado di “segretezza” nelle decisioni che va tutelato. Bergamo però resta casa, nonostante lavoriamo a Milano. E un amico con un ristorante cinese ci fa nascondere nello sgabuzzino per cena. Abbiamo conservato la normalità: Islanda è nata in un viaggio, davvero, con sacco a pelo in Islanda, insieme; non fossimo amici sarebbe noioso».
La decisione più difficile?
«Giovani wannabe, il primo singolo “estivo” nel 2022: sentivamo di tuffarci in un tritacarne, e i pinguini non sono di stagione. Ma alla fine le canzoni vincono, se protette: sono figlio di un muratore e di un’insegnante, se vedo soldi facili ho un mancamento, ma nel gruppo ci facciamo la guardia a vicenda e diciamo tanti “no”, specie alla tv; siamo artisti, non influencer».
E scegliere Sanremo, nel 2020, è stato difficile?
«No, anzi. I parenti erano entusiasti. Provavamo la notte, tra una diretta e un’altra, per il nostro primo tour nei palasport, che sarebbe cominciato di lì a poco. Poi è arrivata la pandemia e per partire abbiamo atteso due anni. Una sberla».
Che generazione è la vostra?
«Sospesa: il futuro non esiste, ma neanche il presente, perché i posti di potere sono occupati. Eppure un’energia positiva si sta accumulando nell’aria, lo vedo nelle battaglie per i diritti, per il clima e il resto. Prima o poi il tappo salterà».