la Repubblica, 13 gennaio 2025
Intervista a Simone Cristicchi
È una lunga storia, quella tra Simone Cristicchi e Sanremo. Classe 1977, ha esordito al festival nel 2006, categoria Giovani, conChe bella Gente. L’anno dopo il trionfo con Ti regalerò una rosa,un brano nato da una lunga esperienza nei manicomi. Poi altre apparizioni, in gara e come ospite (otto in totale), e qualche premio. Ma la carriera di Cristicchi è scivolata verso il teatro: è tuttora in tour con lo spettacolo Franciscus – Il folle che parlava agli uccelli, scritto con Simona Orlando, un racconto profondo e appassionante sulla vita di San Francesco. In mezzo a continui sold out nei teatri, il cantautore romano torna all’Ariston con un brano intitolato Quando sarai piccola.
Ha spiegato che la canzone parla dei figli che diventano genitori dei propri genitori.
«È un tema che tocca tutti ma se ne parla poco, soprattutto nelle canzoni. Nasce da un’esperienza molto personale, anche se non l’ho scritta per mia madre. Quello che mi ha colpito è che quando ho annunciato il titolo e il tema mi sono arrivati una valanga di messaggi».
Questo brano, qualche anno fa, era stato scartato da Amadeus.
C’era stata una motivazione?
«So che era piaciuta tantissimo, ma nel momento delle scelte è ovvio che qualcosa resti fuori. Quindi nessuna polemica. Devo dire che in questi 5 anni tutti mi avevano consigliato di metterla su disco, io volevo ma poi non l’ho fatto. Di solito, quando smetto di inseguire le cose, le cose poi inseguono me. E tornano molto più grandi».
Quanto è cambiato dal Cristicchi che ha vinto Sanremo?
«Per anni sono stato un po’ schiavo del successo, poi sono stato rapidamente dimenticato e ho capito presto come funziona. Se non fai pace con questo rischi di finire dallo psichiatra. La mia attitudine è la stessa: ho la stessa curiosità di quando giravo i manicomi e ho scritto in mezz’ora Ti regalerò una rosa.Anche per Franciscus c’è stato un grande lavoro di studio. Forse oggi sono un po’ più appartato, posso scegliere dove andare e con chi parlare, prima ero un po’ obbligato. Mi ricorderò sempre quello che mi disse Vincenzo Mollica appena sceso dal palco: “Adesso devi solo scomparire”».
E con i più giovani, così lontani da lei nel modo di scrivere canzoni, che rapporto ha?
«La mia percezione quando ho incontrato gli altri artisti è stata di grande rispetto, gentilezza. Mi diverte molto l’idea di incontrare artisti diversi. Mi infastidisce solo la spocchia di chi ha fatto due brani e ti guarda dall’alto e in basso».
A proposito di giovani artisti, nelle ultime settimane ci sono state forti polemiche sul “caso” Tony Effe. Lei, ai tempi di “Prete” e “Genova brucia”, ha subito una vera censura e il suo spettacolo sulle foibe è stato moltocontestato. Che idea si è fatto?
«Ho pensato che questa indignazione generale dovrebbe essere rivolta ad altre questioni. Io sto male per quello che accade in Medio Oriente, per le guerre, per i disastri ambientali. Non dimentico il caso di Ghali e di come è stato trattato: il suo messaggio di pace è stato ribaltato. Ai tempi diGenova bruciaio avevo preso frasi solo dagli atti del processo. Come diceva De André, un artista diventa pericoloso quando è una spina del fianco del potere: il suo ruolo dovrebbe essere anche quello».
Il suo “Franciscus” sta ottenendo un grande successo di pubblico. Forse perché è una metafora dello sfrenato edonismodi oggi?
«In questo spettacolo affronto il tema della povertà, della spoliazione dal superfluo che ci appesantisce e ci impedisce di camminare leggeri. E questo riguarda anche il flusso dei pensieri: facciamo quasi un pensiero al secondo, siamo completamente dissociati, non viviamo mai nell’attimo. Siamo proiettati verso l’altro».
Lei è un grande appassionato di fumetti e da giovane è stato un disegnatore. Che ricordi ha dell’esperienza con Jacovitti?
«Ero un suo collezionista, lo copiavo tantissimo. Un giorno, avevo 16 anni, ho aperto l’elenco del telefono, c’era il suo numero e l’ho chiamato per fargli vedere i disegni. All’inizio èstato molto duro, come dovrebbero essere tutti i maestri, ma mi ha spinto a cercare la mia identità. Mi ha insegnato il rigore dell’artista proprio come Battiato. A un certo punto ha capito che avevo qualcosa, così ogni settimana andavo a casa sua a osservarlo lavorare. Una sera al Tg, all’improvviso, ho sentito che eramorto. Ho perso il mio secondo padre».
Si è molto avvicinato al misticismo. È un credente?
«Non ho trovato ancora una religione che mi convinca in pieno, anche se ne ho frequentate diverse; ho fatto immersioni in monasteri. Mi reputo un credente, sto cercando la mia visione di Dio. Il nostro destino è quello di salire e precipitare: un giorno sei persuaso dell’esistenza di un essere superiore, il giorno dopo ti capita qualcosa che ti fa dubitare. Credo che la realtà sia molto poetica, che ci sia tanta bellezza: dobbiamo cambiare il modo di guardarla. Il mondo, nonostante tutto, mi appare sempre meraviglioso».