Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  gennaio 13 Lunedì calendario

Salvini si perde tra pantografi e chiodi. L’ultimo stop dei convogli rivela le difficoltà del leghista che è sempre più lontano dai fasti gialloverdi del 2019

Non si capisce più tanto bene che cosa vuole Salvini dal governo, da Meloni, dalla Lega che contro ogni logica continua a invocarlo premier nel nome e nel simbolo. Per uno di quei paradossi che segnano la vita del potere – e quella dei potenti ancora di più – questa sua irresolutezza si è accentuata dopo l’assoluzione di Palermo. Così adesso è sempre meno chiaro che cosa il vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture vuole dalla sua amministrazione, dal suo impegno, dalla sua carriera e, se è consentito, anche da sé stesso – incertezza che per un uomo politico che ha superato i 50 anni costituisce un bel guaio.
Sul piano operativo è sopraggiunto il terzo stranguglione ferroviario in pochi mesi, su siti e giornali illustrato dai cartelloni luminosi densi di ritardi e cancellazioni. Ieri, il vice e super ventriloquo leghista Crippa ha garantito che Salvini lavora 14 ore al giorno; ma la penultima volta, a ottobre, quando Roma Termini e migliaia di viaggiatori erano piombati dentro l’ennesima paralisi, il ministro era intento a celebrare la festa dei nonni; e solo nel pomeriggio, ai margini di un evento, in tal modo ha ritenuto di auto-commiserarsi: «Sono anni che chiedono le mie dimissioni perché respiro e perché vivo».
E tuttavia lo snodo Salvini oltrepassa vittimismi, pantografi, chiodi, guasti elettrici, incendi e “sfiga”, come ha riassunto lui con indulgente approssimazione. C’entra e non c’entra il Viminale, desiderato, concesso, perduto, poi richiesto e non ottenuto, però intanto “sto bene dove sto”. Prima un rullio di tamburi sul nuovo e severo codice alcolemico della strada, poi le più insistite rassicurazioni che “non è cambiato nulla”, quindi auguri dal ministro intento a grattare la pancia a un cagnone. Per cui l’incertezza trascende i soliti strombazzamenti, le abituali contraddizioni, le capricciose impuntature, i tagli dei nastri tirati con i denti, la cravatta rossa alla Trump e la “Casa rossa” che sarebbe la nuova, provvida e comprensibilmente gettonata società di produzione di Francesca Verdini.
È la mancanza non solo di sbocchi a breve termine, ma anche e soprattutto di senso compiuto l’inconfessabile cruccio di Salvini, il ritrovarsi intrappolato fra Vannacci e il Ponte del perenne scetticismo, i sommovimenti lombardi e il terzo mandato di Zaia; per cui il personaggio rilutta, resiste, recalcitra, si offre, ci ripensa, si offende, insegue Musk, partecipa all’apericena a casa Meloni, ma poi diserta il Consiglio dei ministri e in definitiva sembra che faccia tutto di malavoglia.
Troppo e insieme troppo poco, come capita alle maschere. Potrebbe dirsi la fine di un ciclo o la crisi del settimo anno o giù di lì, in questo gli archivi, ma più in generale i confronti con il passato sono impietosi. Nel gennaio del 2019 il Capitano era il perno del governo gialloverde e la sorpresa della scena pubblica, sfoggiava uniformi, inaugurava protocolli di selfie post-comizio, divorava gagliardo biscotti alla Nutella, attaccava briga sui social assestando “bacioni” di sprezzo a J-Ax, a Baglioni, perfino alla pornodiva Valentina Nappi.
Un sito dal sintomatico nome de “Il Populista” lo ritrasse accanto a Padre Pio: «Notevole esperimento di psicologia sociale», commentò lo strategist Luca Morisi; ma è documentato che ad Afragola un signore (dal nome Francuccio e di mestiere venditore ambulante di calzini) gli baciò la mano. Qualche mese dopo Salvini ottenne alle europee il 34 per cento e quando, in omaggio alla malattia melodrammatica italiana, veniva accolto sui palchi dal “Nessun dorma” di Pavarotti, ecco, arrivò a chiedere i pieni poteri. È pur vero che tutto si dimentica. Ma oggi? A parte la lotteria permanente dei treni in ritardo o cancellati, durante le feste l’ex “Bestia” social si è compiaciuta di far notare che nel potente coro africano di apertura di Mufasa, il Re Leone, riecheggiano, per tre volte, le parole “per Salvini” – così la fiaba è servita, assai meno anzi per niente la realtà,
 
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}@font-face {font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; panose-1:2 2 6 3 5 4 5 2 3 4; mso-font-alt:"Times New Roman”; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859921 -1073711039 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:30.0pt; mso-bidi-font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:30.0pt; mso-ansi-font-size:30.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman (Corpo CS)”; mso-fareast-language:EN-US;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}