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 2025  gennaio 13 Lunedì calendario

Il retroscena sulla liberazione di Abedini

ROMA – La promessa era da mantenere. Tornata a casa Cecilia Sala, passata la conferenza stampa della premier Giorgia Meloni, sentito Joe Biden (al telefono, visto che il presidente americano aveva annullato il viaggio previsto in Italia per gli incendi in California), l’iraniano Mohammad Najafabadi Abedini doveva essere liberato. Così come aveva assicurato la nostra intelligence ai colleghi iraniani per ottenere la liberazione della giornalista del Foglio e Chora Media. È stato valutato troppo “rischioso” aspettare l’udienza del 15 nella quale la Corte d’appello di Milano doveva discutere gli arresti domiciliari per l’iraniano. Troppo complesso tenere Abedini ancora in Italia dove si sono mosse due procure (Milano, dopo l’arresto a Malpensa; Roma, in seguito alle dichiarazioni raccolte da Sala al suo rientro). Meglio fare in fretta. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha compiuto così ieri un blitz senza passare nemmeno per i suoi stessi uffici, circostanza che ha procurato non pochi mal di pancia in via Arenula, dove in molti sono stati informati della notizia da siti e tv. Per il governo era però necessario fare meno rumore possibile e sfruttare il momento di passaggio tra le due amministrazioni americane, per quanto Meloni si era premurata di avvisare Biden ma anche prima, con il suo viaggio a Mar-a-Lago, Donald Trump.
Abedini è stato scarcerato sulla base di un articolo del codice di procedura penale, il 718, che al comma 2 prevede che, in caso di arresto con richiesta di estradizione, «la revoca è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta». È una possibilità che viene utilizzata raramente ma esistono diversi precedenti: recentemente è successo con l’ingegnere svizzero Hernè Falciani, arrestato a Malpensa e rilasciato su richiesta del ministero o quello del regista ucraino Yeven Eugene Lavrenchuk, arrestato a Napoli su richiesta russa e poi liberato sempre su ordine del governo. A indicare la strada, per primi, erano stati i tecnici del ministero già il 28 dicembre, come aveva raccontato Repubblica in quelle ore. Avevano fatto presente a Nordio, e alla sua capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, che anche nel caso Abedini esistevano degli appigli giuridici per procedere.
In un primo momento quella via era però stata ritenuta «impercorribile» dalla politica, per via dei rapporti con gli Stati Uniti. Non si voleva aprire un caso con Washingtonche aveva chiesto con forza l’arresto dell’iraniano, anche se al momento non è ancora arrivata la richiesta di estradizione. Quando poi il dossier è stato avocato da Chigi – da Meloni e dal sottosegretario Alfredo Mantovano, che nella sua esperienza di magistrato di Cassazione a lungo si era occupato proprio di estradizioni – le cose sono cambiate. Quella del 718 è diventata la strada principe, con l’impegnodella presidenza del Consiglio di rassicurare gli Stati Uniti. Dopo il viaggio di Meloni da Trump, la scarcerazione sembrava questione infatti di ore. Poi, invece, c’era stata una frenata nella quale era stata valutata la strada dei domiciliari ma quelli, avevano ancora spiegato i giuristi, potevano essere solo concessi dal tribunale. Ancora: il pasticcio nel giorno della liberazione di Sala dell’incontro a Chigi tra Nordio e Mantovano: prima si dava per fatta la scarcerazione di Abedini, poi la retromarcia, «si è parlato della separazione di carriere».
Infine, dopo che nel weekend era stato chiesto un approfondimento sulle precedenti scarcerazioni, il blitz di ieri. Con la firma irrituale di Nordio (di solito è competenza della direzione generale degli Affari internazionali). E poi con il comunicato nel quale il ministro dà anche una spiegazione tecnica alla sua scelta: «Nessun elemento risulta ad oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte», scrive rischiando di creare un nuovo incidente. Perché in questi giorni nessuna nuova carta è arrivata al ministero: sulla base degli stessi atti, quindi, la Giustizia ha chiesto prima la conferma del fermo il 22 dicembre, perché riteneva motivate le accuse. E poi l’11 gennaio ne ha invece ordinato scarcerazione perché non lo erano. Rendendo evidente, così, che a motivare la decisione ci sia stata una legittima scelta politica (il codice non chiede una motivazione giuridica: mette tutto nelle mani del ministro), frutto della trattativa con l’Iran. Non è un caso che ieri Abedini sia ritornato a Teheran con un volo messo a disposizione dal governo. Con lui non c’erano tutti i bagagli che aveva quando era stato arrestato. O meglio: quei bagagli non li aveva soltanto lui. La Polizia, e la nostra intelligence, ha infatti fatto copia di tutti i computer, i telefoni. E degli apparati informatici – chip, pezzi di droni – che custodiva nel trolley al momento dell’arresto. Per gli amici americani significa molto.