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 2025  gennaio 13 Lunedì calendario

Le lettere di MMD


Perché dal 2003 al 2016 Matteo Messina Denaro ha scritto unasorta di diario, con memorie, appunti e riflessioni sulla sua vita quotidiana e persino intima, destinato alla figlia Lorenza, che non ha voluto saper niente di suo padre e alla quale lo stesso padre non l’ha mai recapitato?
La risposta non è difficile. Tutti nella nostra vita abbiamo bisogno di un testimone. Sia chi è vissuto nel più completo anonimato, sia chi non è stato privato di riconoscimenti, fedeltà, rispetto, sudditanza, e dedizione. Persino uno spietato boss mafioso. Se nessuno ti guarda, infatti, se nessuno ti riconosce nei recessi più segreti della tua vita, allora perché sei vissuto? E soprattutto dove reperire il senso della tuaesistenza? Nasce da qui il bisogno di scrivere, non necessariamente perché qualcuno ti legga, ma per chiarire a te stesso la trama della tua esistenza, il cui ordito può essere colto solo se hai l’impressione di parlare con un altro che, silenzioso e muto, fungeda testimone.
Il testimone scelto da Messina Denaro è sua figlia Lorenza, la quale per 27 anni non l’aveva mai voluto incontrare e che solo pochi giorni prima della sua morte il padre ha riconosciuto all’anagrafe dandole il nome di famiglia. Perché ha scelto Lorenza? Perché di tante persone, tra quanti lo ammiravano essendone complici oppure lo temevano per la stessa ragione, ha sentito il bisogno di rivolgersi a lei?
Aveva suscitato l’interesse nell’opinione pubblica la sua capacità di condurre una vita così lunga da latitante, ma il silenzio di sua figlia e il suo rifiuto a incontrarlo e quindi a riconoscerlo, segnavano quello che nella sua vita era forse l’unica sconfitta che incrinava i suoi successi el’apologia della sua esistenza.
Un’apologia che poteva frantumarsi, vanificarsi e andare in fumo se non fosse stata riconosciuta anche da quel sentimento incondizionato che lega la figlia a un padre e un padre alla figlia. E allora anche per Messina Denaro era inevitabile scendere in quella zona mai frequentata nella sua vita che è il sentimento, che neppure i delitti più efferati da lui compiuti avevano sfiorato.
Incapace di frequentare la commozione, la pietas, la compassione, Messina Denaro non scrive un diario con una trama, un percorso, una biografia, ma isolati frammenti in cui celebra quelle che ai suoi occhi appaiono come le magnificenze della sua esistenza: il suo potere confermato dall’impotenza dello Stato che non riusciva a catturarlo, ma anche i suoi amori che non celebravano dedizioni o affetti, ma solo gratificazioni narcisistiche per tutte le donne, escort comprese.
Che cedevano al suo fascino, per far conoscere al testimone quale bell’uomo fosse al di là dell’identikit delle forze dell’ordine che lo ricercavano e che non lo ritraevano nella sua bellezza irradiata da un sguardo sicuro di sé, quindi invincibile.
Ma anche questa autocelebrazione ha i suoi punti di caduta. Anche ai suoi occhi non è convincente. È tutta roba esteriore che non raggiunge quel punto segreto dell’esistenza che solo il sentimento sa irradiare. Ma il testimone non c’è. E la sua assenza fa ricadere il sentimento su se stesso, come un’onda di poca memoria. E allora bisogna continuare a scrivere, a scrivere per anni, a scrivere per frammenti, perché non si ha dimestichezza con quella dimensione dell’anima che non si è mai frequentato.
Ricorda alla figlia i doni che da piccina le faceva pervenire: “Tu avevi quasi dieci anni ed eri il mio mito. E credimi, io non avevo mai avuto miti e non ne ho tutt’ora, non più”. I regali stavano al posto di tutte le parole allora mancate, gli incontri negati, i silenzi inesorabilmente seguiti. Fu così che Lorenza divenne per il padre un “mito”, proprio per lui che non aveva mai avuto miti.
Le parole sono accompagnate da immagini che ritraggono il padre, libero di muoversi vicino all’Arena di Verona, incurante di farsi fotografare pur di lasciare una bella immagine di sé al testimone silente, qualora un giorno, per puro caso venisse in possesso di questi suoi frammenti, capaci di suscitare un minimo di commozione, a cui poter agganciare un minimo di riconoscimento. Non tanto per far sapere a sua figlia chi era suo padre, cosa che alla fine non interessava neppure più a lui. Ma per far scoprire a Lorenza quello che Messina Denaro andava forse e malamente scoprendo, con passo incerto e ricadute esibizionistiche malcelate, che nella propria vita, se non approdi al sentimento, tutto quello che hai fatto non ti rassicura, non ti celebra, non ti consola, ma resta sconfitto e naufraga nel silenzio del testimone che è più atroce del silenzio della morte.